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TAV. Dopo la protesta a Ponte Alto Vicenza come la Val di Susa?

No TAV

Il blocco stradale messo in atto dai No TAV sabato 8 luglio a Ponte Alto, periferia ovest di Vicenza, laddove si trova il viadotto di viale del Sole, l’infrastruttura che sarà più penalizzata dai lavori per la posa della nuova linea, è il primo atto di una contestazione ai treni Alta Velocità/Alta Capacità, che ci si può prospettare lunga e pesante.
Questa mobilitazione degli oppositori più intransigenti potrebbe essere la prova generale di un programma che, se avrà come paradigma l’analoga protesta che ha a lungo bloccato e ritardato l’opera in Val di Susa, andrà in scena per un bel pezzo a ridosso della tratta ferroviaria che scorre sotto Monte Berico.
Le strategie dei gruppi No TAV potrebbero essere mirate a radicalizzare a Vicenza un nuovo epicentro della contestazione, con l’arrivo dei Centri sociali da mezza Italia e con la partecipazione internazionale di attivisti. Sarebbe un grosso problema in più per una città già alle prese con una decadenza sociale ed economica tanto diffusa quanto tenuta nascosta e con la prospettiva di diventare un enorme cantiere per almeno un decennio, ovvero per quanto dovrebbero durare i lavori del Lotto Funzionale 2 “Attraversamento Vicenza”.
La contestazione dei No TAV è esplosa ancor prima che si cominci a lavorare sulla nuova tratta in città, figuriamoci dopo. Finora c’era stata l’anteprima delle ricadute sulla popolazione a Montecchio Maggiore e ad Altavilla Vicentina, comuni che precedono il capoluogo nel percorso verso est dell’infrastruttura e che, pur nell’incidenza minore sugli abitati rispetto a quanto sarà a Vicenza, hanno dovuto affrontare grossi disagi soprattutto per quanto attiene alla viabilità.
Cosa succederà in città quando si apriranno i cantieri, quando si demoliranno i ponti, quando si chiuderanno le strade e quando si esproprieranno case e proprietà? Quando, cioè, i cittadini saranno toccati direttamente dalle deviazioni stradali, dai rumori, dall’inquinamento, dal traffico e quando dovranno fare i conti, nei loro spostamenti, con gimkane, code e sensi unici.
In quel momento la protesta diventerà generale, non solo dei residenti dei quartieri interessati ai lavori. Finora questi ultimi sono stati i soli che si sono preoccupati, partecipando in massa agli incontri e ai dibattiti in cui si spiegavano i progetti, ma, presto, il problema toccherà – e chissà per quanto tempo – anche i vicentini che abitano quella metà della città non interessata ai lavori.
E allora è possibile che la contestazione dei cittadini si saldi con quella dei No TAV, più o meno com’è successo per un altro No che ha inchiodato Vicenza per quasi un decennio, quello No Dal Molin. Erano 100.000 quelli che hanno sfilato in corteo contro la seconda base americana, erano quasi 30.000 quelli che hanno votato no nel referendum autogestito dal Comune. E si trattava di una caserma all’estrema periferia, che non interferiva con i lavori di edificazione nella vita di ogni giorno dei cittadini. Tutto il contrario della TAV, insomma.
La somma delle due cose, contestazioni più disagi, potrebbe diventare il detonatore di una situazione esplosiva. Le estremizzazioni dei No TAV potrebbero trovare il consenso e il favore di cittadini esasperati e increduli che le loro abitudini e le loro comodità debbano essere devastate per anni dalla posa delle rotaie di una linea ferroviaria che, a loro e a Vicenza, dovrebbe portare vantaggi marginali.
Si potrebbe creare un clima di tensione sociale e di intolleranza difficile da fronteggiare e destinato a crescere con il prolungarsi dei cantieri. Vicenza, già in affanno per i tanti problemi che l’affliggono, si troverebbe davanti un’emergenza inattesa e difficilmente controllabile. Non per niente Centrodestra e Centrosinistra vicentini stanno da tempo rimpallandosi le responsabilità in tema di TAV.


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