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Alessandra Lanaro, è un architetto con esperienze nella progettazione di interni, di spazi urbani e di apprendimento, con particolare focus sul benessere e docente. Interessata alle tematiche sociali ed urbanistiche della città. Della sua città, come ci tiene a dire: Vicenza. E’ sposata e mamma di tre ragazzi e anche per questo è particolarmente sensibile alle progettualità che riguardano i giovani e il loro futuro.
Ha vissuto in molte città d’Italia e all’estero e di recente a Torino dove si è occupata della progettazione di scuole e piazze scolastiche all’interno di un percorso partecipato tra Amministrazione, Scuola e Cittadinanza, nella cornice dei Patti Educativi di Comunità ha maturato alcune idee che intende sviluppare a Vicenza. Con l’associazione Sintesi si occupa di Patti Educativi di Comunità presso altri Comuni della provincia.
Partecipa inoltre insieme a un gruppo di architetti e sociologi, nel ciclo di incontri “Abitare la città”, con Porto Burci e Legambiente, e sta avviando proprio a Vicenza un percorso di riflessione e trasformazione partecipativa della città.
Recentemente Alessandra Lanaro ha posto all’attenzione il tema della denatalità. Anche a Vicenza, come nel resto d’Italia, sono tante le coppie che decidono di non avere figli o che a fatica ne mettono al mondo uno soltanto. La denatalità è un problema economico oltre che sociale, che mette in pericolo i conti pensionistici e crea molta preoccupazione al sistema produttivo. Le aziende temono di non trovare abbastanza addetti nel futuro. Le scuole lentamente si spopolano.
Ad Alessandra chiediamo perché di questo improvviso personale grido d’allarme...
“Sono mamma di tre figli, vedo i problemi dal punto di vista di una famiglia che ha avuto il coraggio (o l’incoscienza) di rischiare. Avere figli e farli crescere oggi è molto complicato. Sono evidentemente tanti i problemi. Gli spazi in case sempre meno ampie, i costi economici per farli crescere e studiare, la conciliazione dei tempi perché gestire il lavoro e contemporaneamente occuparsi in modo coscienzioso dei figli è assai pesante e a volte impossibile, perché i servizi sono spesso insufficienti o estremamente costosi. Insomma per tantissimi motivi pratici che si sommano a preoccupazioni di altra natura più intima, fare figli è oggettivamente complicato”.
Non è però su questi temi che lei ha basato le sue considerazioni per cercare di far comprendere le difficoltà che una famiglia incontra quando sceglie di avere un figlio…
“Io mi occupo di rigenerazione urbana, quindi per motivi anche professionali oltre che per il ruolo di mamma, sono particolarmente attenta agli spazi che la comunità mette a disposizione dei giovanissimi e degli adolescenti.
E proprio questi ultimi sono i cittadini che più si scontrano con una città fatta non a loro misura. Ci sono spazi e parchi attrezzati per i piccoli, ma per gli adolescenti cosa offre la città? Soprattutto nel periodo estivo, quando le scuole sono chiuse o nei pomeriggi quando i compiti sono terminati, un giovane dove può andare, dove può praticare uno sport semplice, dove può interagire con i coetanei fisicamente? Campetti di calcio, di basket o di pallavolo, sicuri e di libero accesso, dove li trovano?
I presidi educativi storici o tradizionali sono venuti meno. Le Parrocchie non sono più in grado di offrire spazi e opportunità”.
Quindi architetto? Stiamo parlando di una partita persa. Il declino demografico è inarrestabile?
“Ci si può arrendere. Ma si può anche reagire. Ed quello che io vorrei. Perciò dobbiamo rimettere a disposizione nuovi spazi per i giovani. Ponendo al centro sempre i ragazzi. Non si tratta di individuare nuovi spazi ma di riutilizzare – se serve riattrezzandoli – quelli che già esistono. Come architetto ho un occhio attento agli spazi che esistono e credo che si potrebbero fare grandi cose anche solo usando meglio spazi già esistenti. Rimettendo a disposizione nei pomeriggi e nei mesi estivi le aule scolastiche o anche solo le pertinenze esterne”.
Spazi fisici dunque da utilizzare meglio per favorire le relazioni umane dei ragazzi?
“No. Non è solo questo. Certo offrire delle alternative sicure ai ragazzi ed agli adolescenti è importante. Come fai a distoglierli dalle relazioni virtuali, dal pollice compulsivo, se non gli offri una alternativa reale? Però occorre rimettere in moto anche le relazioni e le sinergie tra varie anime della società, tra associazioni esistenti e già attive. Far colloquiare la scuola con il resto delle associazioni esterne senza troppa paura. Immaginare progetti che permettano alla scuola formale di continuare la sua formazione attraverso momenti di scuola informale. Ricordiamoci l’importanza del ruolo che la scuola riveste, dopo la famiglia, per la formazione delle competenze relazionali dei giovani. Immaginiamo progetti che rimettano in gioco persone anziane che magari cercano una alternativa alla noia della solitudine e che invece potrebbero trovare nel rapporto con i ragazzi stimoli nuovi e nuove emozioni.
Utilizziamo tutte queste opportunità che esistono già e facciamole colloquiare, facciamole interagire, mettiamole a disposizione dei ragazzi”.
Dunque spazi fisici da utilizzare, nuove relazioni da costruire, e poi?
“Ah, c’è molto da fare, come cambiare la mobilità di accesso attorno alle scuole,modificare alcune abitudini, dobbiamo superare il torpore e l’indolenza che a volte ci prende. Dobbiamo ridare sprint alle nostre vite. Qualche sacrificio serve, ma i risultati che si possono ottenere possono rigenerare la città. E dare davvero tante soddisfazioni”.
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