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COMUNE DI VICENZA. LA CLAUSOLA ANTIFASCISTA FRA LIBERTÀ DI PENSIERO E REATO DI APOLOGIA

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La reintroduzione della clausola antifascista, approvata dal Consiglio Comunale di Vicenza, ha scatenato le solite e prevedibili polemiche. Battibecchi tra forze politiche che si mescolano in un calderone di ideologie, politica e diritto.
La clausola, introdotta nel 2018 con l’amministrazione Variati, poi depennata dall’amministrazione Rucco (che ha sostituito il termine “antifascista” con “totalitario”), è tornata oggi alla ribalta. Chiunque voglia utilizzare uno spazio pubblico deve sottoscriverla.
Ebbene, dov’è il problema? L’Italia si fonda sulla Costituzione e l’essere antifascista dovrebbe considerarsi un’ovvietà. Già il fatto che preme l’urgenza di ricorrervi è sintomo di un sistema che non funziona come dovrebbe.
Il punto dolente però è un altro, prettamente giuridico. Chi polemizza verso la reintroduzione della clausola evidenzia che le garanzie antifasciste esistono già. La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. Con la legge 645/1952, nota come Legge Scelba, è stata data attuazione alla disposizione costituzionale e introdotto il reato di apologia di fascismo.
Gli oppositori insinuano, così, il dubbio che da parte dell’amministrazione vicentina vi sia un uso strumentale e ideologico. La questione è ben più delicata. Investe un bilanciamento di diritti costituzionali. Perché la Costituzione vieta la riorganizzazione del disciolto Partito Fascista ma, al contempo, tutela la libertà di pensiero e garantisce l’uguaglianza senza distinzione di opinioni politiche. Porre come condizione all’utilizzo dell’area pubblica, la sottoscrizione di siffatta clausola entra in tensione con gli articoli 3 e 21 della Costituzione. Le convinzioni, per quanto riprovevoli, non possono avere rilievo giuridico quando confinano nell’intimo sentire di un soggetto. Questa è una delle garanzie che i padri costituenti ci hanno lasciato per il futuro.
In diverse occasioni, la Corte Costituzionale è intervenuta al fine di perimetrare il reato di apologia. Ha ribadito che non può essere considerato reato la semplice difesa o l’elogio del fascismo e dei suoi ideali, essendo necessaria l’esaltazione capace di condurre ad una riorganizzazione effettiva del partito fascista o sufficiente ad indurre a commettere un fatto finalizzato alla riorganizzazione dello stesso.
La Corte, con la cautela che la contraddistingue, sottolinea che i diritti inviolabili non camminano mai da soli ma si muovono sempre in coppia e, come tutte le coppie, a volte entrano in tensione.
Sebbene la clausola persegua nobili propositi, sorgono molti dubbi dal punto di vista giuridico, perché rischia di offendere altre libertà. È un dovere collettivo difendere e diffondere in ogni momento la cultura dell’antifascismo, ma la scelta degli strumenti deve essere cauta. La Costituzione si erge sulle macerie del Fascismo, sulla tragica negazione di diritti e libertà.
Come ha ricordato la senatrice Segre, citando Calamandrei, la Carta Costituzionale non è un pezzo di carta ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà. Non può difendersi la libertà con un’imposizione. Se, oggi, neppure la Costituzione sortisce l’effetto di  radicarsi nel cuore e nella memoria di tutti gli italiani, come può farlo l’imposizione di una clausola? Il rischio è che nel nobile intento di difendere la Costituzione, si ricorra a strumenti che producono un effetto inverso.
GIORDANA RUZZOLINI

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