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L’economia come strumento di integrazione.  Incontro con Monica Botta

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Insegnare economia di base a chi non la conosce. Cosa spinge una professionista impegnata a dedicarsi a questa iniziativa extralavorativa? Lo chiediamo a Monica Botta, studio di commercialista in città, impegnata in associazioni che si interessano al mondo femminile. Impegnata sì, ma anche molto presa dal suo studio. Difficile dunque trovare tempo per il resto. Ma su questo progetto lei ha deciso di spendersi.

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“Per prima cosa è necessario precisare che la finanza e l’economia sono una parte indissolubile di ogni nostra scelta quotidiana.

Parli di finanza, e si pensa subito a borsa, azioni, titoli di Stato, come se fosse un argomento lontano, che non ci riguarda, per ricchi. Sbagliato! Ogni giorno prendiamo decisioni che hanno a che fare con il denaro: non ci sono solo Piazza Affari, tassi d’interesse e fondi d’investimento. Anche il bilancio familiare, le scelte di acquisto o la paghetta dei figli richiedono un’educazione finanziaria di base”.

D’accordo, Monica. Questo però non spiega perché questo suo impegno sociale, a fronte dei mille impegni professionali. 

“I numeri italiani in fatto di educazione finanziaria sono ancora molto bassi. Solo il 30% degli individui in Italia è dotato di alfabetizzazione finanziaria, con enormi disparità di genere, ruolo professionale e distribuzione territoriale. Ho immaginato un progetto che propongo ad Amministrazioni Comunali e Associazioni. Sullo sfondo c’è l’obiettivo di creare un ponte verso chi è più debole.

Il tema dell’inclusione finanziaria dei migranti costituisce infatti un tassello necessario perché l’individuo possa agire ed essere un soggetto attivo e consapevole nel sistema economico, sociale e culturale di riferimento.

La loro ‘cittadinanza economica’ è un dato di rilievo del PIL, ma lo è altrettanto in termini di convivenza pacifica e di riscatto sociale”.

Il migrante da un punto di vista socio-economico si configura come un soggetto caratterizzato da una maggiore vulnerabilità.

“Sì. Privo di una storia finanziaria e creditizia, di un patrimonio finanziario a cui attingere, con un maggior livello di precarietà lavorativa, abitativa e di riconoscimento e valorizzazione delle competenze, e con le difficoltà linguistiche e culturali legate alla sua condizione di immigrato, si trova maggiormente esposto a un rischio di esclusione sociale.

L’accesso ai servizi e ai prodotti finanziari è una risorsa essenziale nel processo di integrazione, riducendo la vulnerabilità e accrescendone le possibilità di inserirsi nel tessuto sociale e produttivo del Paese. Tra gli argomenti trattati anche spiccioli di educazione civica, che sono peraltro estremamenti utili. Il progetto di educazione finanziaria e legalità fiscale per stranieri si pone l’obiettivo di formare cittadini consapevoli che possano essere costruttori del proprio futuro in modo responsabile. Si tratterà di dare loro le basi di un’economia personale e familiare utile per affrontare le sfide e i cambiamenti che l’economia e la società presenterà loro”.

Chi frequenta, che atteggiamento ha? E’ curioso, preoccupato, intimorito? 

“Le persone che frequentano il corso hanno un livello di educazione finanziaria molto elementare. I migranti risultano essere praticamente privi non solo delle nozioni economiche di base, ma anche di conoscenze linguistiche e, spesso, scolastiche.

Nella maggior parte dei casi, è necessario il supporto di un mediatore linguistico e questo ulteriore passaggio rende decisamente più difficile il trasferimento delle nozioni.

I partecipanti sono prevalentemente giovani dai 18 ai 35 anni e solo pochi hanno una famiglia in Italia.

Sono molto interessati sulla gestione del risparmio avendo, per la maggior parte di loro, l’esigenza di mandare denaro alle famiglie rimaste nel paese di origine. Tutti hanno espresso la volontà di integrarsi nel nostro paese e per tale motivo hanno capito l’opportunità di ampliare la loro conoscenza sui temi trattati”.

Quanto pesa la presenza di genere?

“Nell’ultimo anno, tra i corsi organizzati (circa 10), solo due gruppi erano costituiti da donne.

Il primo gruppo era costituito da donne provenienti dalla Nigeria e il secondo gruppo da ragazze afgane arrivate in Italia attraverso corridoi umanitari.

L’aspetto che più si evidenzia è che sul campo delle azioni economico-finanziarie l’accesso alla proprietà, il lavoro e l’accumulazione dei beni siano elementi nodali nel processo di crescita di queste donne. Norme sociali discriminatorie del paese di origine, tuttavia, ne limitano l’accesso ai beni sia nei processi ereditari che nel mercato del libero scambio.

La gestione delle spese domestiche e del risparmio familiare è spesso compito di queste donne che hanno il compito di far quadrare i conti per ‘sbarcare il lunario’.

Inoltre, è emerso che le migranti inviano rimesse più cospicue nel loro paese di origine, in proporzione al proprio guadagno, rispetto agli uomini migranti e le inviano con una frequenza maggiore e con maggiore regolarità. Le donne in migrazione, dunque, sono delle attente e abili risparmiatrici, a condizione che abbiano accesso al mercato del lavoro.

Durante il corso con le donne migranti, è stato affrontato anche il tema della violenza economica; si è voluto mettere in risalto come la consapevolezza e l’autonomia economica delle donne sono fra le armi più potenti che abbiamo per scardinare la violenza subdola e nascosta, e che spesso sfocia in forme di violenza psicologica o addirittura fisica”.

I partecipanti ai corsi erano prevalentemente di religione musulmana. La religione è di ostacolo o di stimolo riguardo agli aspetti finanziari?

“Gli immigrati di religione musulmana spesso si auto-escludono dall’accesso ai servizi bancari, finanziari e assicurativi in quanto i relativi contratti non rispettano i precetti della religione islamica.

Quando si parla di finanza islamica si fa riferimento ai prodotti, ai servizi e alle prassi finanziarie conformi alla Legge del Libro, il Corano. In altre parole, a quella offerta destinata ai fedeli, che nulla ha a che vedere con le regole di diritto internazionale; l’investimento è visto come fonte di crescita ed equa redistribuzione della ricchezza, in un ambito che vede al centro il lavoro e ammette e incoraggia la proprietà privata.

L’Italia resta uno dei pochi paesi europei a non aver ancora implementato una adeguata produzione e distribuzione di strumenti e servizi di finanza islamica, anche se il nostro posizionamento geografico, la rete di piccole istituzioni finanziarie diffuse sul territorio, e il crescente interesse verso la finanza sostenibile, rendono il nostro Paese un candidato naturale per lo sviluppo dei prodotti in esame, una volta risolti i problemi di carattere normativo e fiscale.

Ulteriori differenze provengono da alcuni importanti principi e divieti legati alla visione islamica del denaro, strumento percepito come mezzo e non come fine; esso può essere infatti tenuto fermo sul conto.

Queste ‘regole’ religiose, hanno reso il confronto stimolante per i partecipanti, ma senza dubbio sono un ostacolo all’inclusione finanziaria”.

Ci sono comunità con le quali sono emersi percorsi particolarmente interessanti?

“Interessati, coinvolti e problematici i migranti originari del Mali; al centro l’utilizzo della moneta coloniale, il franco CFA, nel loro paese.

Praticamente impossibile inviare euro a casa, in quanto arriverebbe ben poco nelle tasche dei parenti del denaro inviato, visto il meccanismo di cambio valuta adottato nel paese.

Per i migranti malesi, invece, la priorità è inserirsi nel contesto sociale/economico italiano e costruirsi un futuro nel nostro paese…risparmiare per restare e non per tornare nel loro paese di origine.

Anche le ragazze afgane sono state molto coinvolte nella gestione delle loro risorse e in particolare nella gestione di conti correnti e contratti; tutte sono delle cicliste e due di loro sono già inserite in squadre di professionisti percependo dei compensi anche piuttosto elevati, pertanto queste le porta a capire come gestire le loro entrate”.

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