Recenti polemiche hanno portato la Rai all’attenzione dei suoi utenti. La fuga verso altre emittenti di conduttori, giornalisti di peso e molto popolari, con relativo venir meno di audience (e conseguenti diminuzioni di entrate pubblicitarie), la censura nei confronti del noto scrittore Scurati e da ultimo il prossimo sciopero dei giornalisti il 6 maggio.
La Rai è l’organo di comunicazione televisiva e radiofonica di Stato, veicolo di informazione e di cultura oltre che di conoscenza e arte coniugata in tutte le sue sfaccettature. Si dice Rai e si pensa ai TG, agli spettacoli, ai quiz, agli eventi in diretta dall’Italia e dal Mondo, alle grandi storie, ai documentari. Programmi che hanno sicuramente segnato la storia della nostra Repubblica. La Rai ha aiutato ad unire gli Italiani intorno ad una sola lingua, una storia, una tradizione.
Dal 1954, anno del primo programma trasmesso, dalla Rai di “Non è mai troppo tardi”, degli sceneggiati che raccontavano la nostra storia e i capolavori della letteratura, della prima TV Dei Ragazzi, del Festival di Sanremo, del Canzoniere, Studio Uno, Rischiatutto, del Cantagiro, del Festival Bar si è passati alla tv che doveva vincere la concorrenza di quella commerciale prima, di quella a pagamento poi e oggi di quella delle piattaforme digitali. Ne è passata di acqua sotto i ponti e la Rai ha continuato a fornire il suo servizio, passando attraverso il controllo, più o meno evidente, di chi governava e governa il Paese.
D’altra parte controllare i mezzi di comunicazione è di per sé un dovere dello Stato, ma soprattutto una forma di potere. Ci si augura che un mezzo pubblico garantisca la pluralità di idee e che tutti possano esprimere il proprio pensiero, ma abbiamo visto nel tempo che non sempre è così. D’altra parte è anche molto cambiato il modo di fare tv ed informazione. Oggi, se non si è sul pezzo, se non si è in contatto con quanto accade nel mondo, si è fuori dal mercato. E allora prolificano i programmi di informazione e di approfondimento, veri veicoli del pensiero dominante. I reality show imperversano in tutte le Tv secondo modelli fissi, buoni in tutti i Paesi del mondo, capaci di catturare ascolti e consensi; i talk show comunque spopolano secondo un ben preciso clichè: un giornalista o una giornalista come conduttori e moderatori, le voci a rappresentare i sostenitori di visioni diverse o contrapposte, il tutto condito da collegamenti esterni che dovrebbero rendere più realistico e diretto il tutto. Si comincia al mattino e si finisce a tarda sera. Così gli utenti, che sia della Rai o della Sette o di Canale5 o Rete4 si sorbiscono trasmissioni spesso di attualità, così le definiscono, che, ahimè, finiscono in battibecchi di cattivo gusto, perché ciò che fa audience è proprio il litigio in diretta, il “chi alza la voce di più”, il tafferuglio. Polemiche a non finire, ma intanto alcuni programmi saltano perché non hanno seguito, gli autori lasciano, artisti di peso emigrano verso altri lidi…
Di fronte alla decadenza del servizio televisivo, che più o meno coinvolge tutte le reti, se si può si abbandona la visione. Lo fanno i più giovani che preferiscono cercare notizie e divertimento on line, lo fa chi si paga l’abbonamento ad una Pay Tv.
Ma non tutti possono permettersi questo costo aggiuntivo e si devono sorbire una TV sempre meno attrattiva. E questo non è giusto e deve far pensare proprio i vertici della TV di Stato che deve essere pluralista nelle idee e nell’offerta.
In attesa che qualcosa migliori, della Rai personalmente salvo pochi programmi: “Geo”, “E’ sempre mezzogiorno”, “Tg Leonardo”, “Viva Rai 2”. Troppo poco per essere un servizio pubblico e per il quale pago il canone.
Rosanna Frizzo