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SANITÀ: ATTENTO A COME PARLI

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In Veneto la sanità funziona. Nei sondaggi quasi tutti i Veneti sono contenti; invece se parli con i pazienti fuori dai centri medici tanti, ma proprio tanti, sono scontenti.
Parlare in Veneto di malasanità sembra dunque una bestemmia, almeno se ci facciamo raccontare quello che succede in altre parti d’Italia.
Poi ci sono i medici e gli infermieri che mancano, e questo è un altro serio problema. Poi ci sono gli operatori che scappano perché sono mal retribuiti. E anche questo è un problema vero e serio.
Ma davvero funziona tutto bene? Le liste di attesa, anche per esami importanti, sono lunghissime. Le tecnologie nuove dovrebbero aiutare ma sono ancora sporadicamente utilizzate.
Se ragioni con un operatore magari di spiega tutto ed alla fine ti sembra che abbia anche ragione.
Eppure ci sono situazioni che non vanno.
Ho personalmente sperimentato, tanto da poter raccontare sicuro: l’organizzazione tiene molto conto dell’impostazione burocratica, che è sempre rigida. E non prende in considerazione che un paziente quando chiede del medico, spesso lo fa perché ne ha bisogno. La popolazione invecchia, non sempre capisce tutto, spesso è in difficoltà con mail, prenotazioni on-line, ecc. Eppure non c’è pietà per loro. Bisogna fare così, punto e basta. Se poi chiedi tu di avere certe risposte via mail, per evitare di spostarti (che magari non puoi) apriti cielo. Devi andare di persona a ritirare pezzi di carta. Insomma non sono gli sportelli al servizio dell’utente, ma i pazienti che devono non disturbare troppo gli operatori.
Poi arrivano i casi estremi, esageratamente strani tanto da sembrare assurdi, come quello capitato ad un cittadino di Montecchio Maggiore.
Stiamo parlando di un cittadino ancora giovane, nel pieno della sua attività che poi è quella di insegnante di scuola superiore. Una persona che ha educato i suoi alunni “alla legalità, alla fiducia nelle istituzioni, al rispetto del prossimo, alla centralità della persona”. Cito queste sue parole tra virgolette, per sottolineare che si tratta di una persona impegnata.
E anche educata.
Bene. Anzi male!
Perché un giorno lo sfortunato professore, da giorni colpito da un “doloroso problema di salute” tenta di contattare il suo medico di medicina generale.
Tenta. Prova e riprova per la verità varie volte. Alla fine riesce a “strappare” un appuntamento dopo 25 giorni.
Sì quasi un mese, in cui dovrebbe convivere con il dolore, senza la benché minima idea se è un problema serio, curabile e, nella migliore delle ipotesi, con quali cure e medicine curarsi. Hai voglia di chiamarlo paziente. Il professore si agita. Vorrebbe un confronto veloce, vagheggia di conoscere in fretta il percorso di cura. Sognare una medicina da prendere subito, forse è troppo.
Provato dalla sofferenza e frustrato dall’appuntamento di lì a quasi un mese, il giorno appresso porta in ambulatorio alcune carte richieste e nell’occasione risponde “stizzito” alla “incolpevole” segretaria. Si sente un peso, un numero. Si sente umiliato e manifesta il suo nervosismo.
Ma subito si pente. In fondo la segretaria che colpa ha? E quindi chiede scusa a voce.
Non contento scrive via mail una lettera di scuse, perché si sente un po ‘ in colpa.
La risposta si fa attendere. Ma arriva. Magari raccolgono le scuse e avvicinano la data della visita? Ma scherziamo?
No. Si ritrova una lettera nella cassetta delle lettere, due settimane dopo, in cui si avvisa che è stato ricusato dal Medico “per turbativa del rapporto di fiducia”. Già. Avete capito bene. Di fronte ad un malato, il medico non lo cura, ma trova il tempo per ricusarlo!
Stupito, amareggiato, deluso, umiliato si ritrova dopo quindici giorni con l’appuntamento annullato e per di più senza medico. Ma fiducioso in quello Stato che ha raccontato ai suoi alunni, scrive subito al SSN e all’ordine dei medici per segnalare la situazione e per chiedere almeno un confronto con il medico. Forse a voce ci si spiega meglio. Invece non succede nulla, ma proprio nulla. Il SSN non risponde. L’ordine dei medici nemmeno.
Lui rimane quindi con i suoi dolori, senza medico e senza spiegazioni.
Sono passati mesi. Il professore ha cambiato medico (ma mica è stato facile e immediato trovarne uno nuovo). Il dolore, curato, alla fine è passato.
Il professore è rimasto con un dubbio.
E’ vero che – come lui insegna ai suoi allievi – si può avere “fiducia nelle Istituzioni” e si “deve rispettare il prossimo” e la persona è “centrale” nell’organizzazione delle nostre comunità?
Oppure un paziente non è una persona, non appartiene alla categoria del “prossimo” e la Sanità non fa parte delle Istituzioni?
Sembra quasi una storia inventata. Invece è vera! Purtroppo.

Maurizio Scalabrin

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