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COMUNE DI VENEZIA E REGIONE DEL VENETO AL VOTO NEL 2025 O PIÙ PROBABILMENTE A PRIMAVERA 2026?

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Il Consiglio Comunale e il Sindaco di Venezia andranno al voto nella primavera del prossimo anno, a meno che non intervenga un’interpretazione benevola della legge vigente (art1. comma 1 legge nr. 182/1991) con uno slittamento per entrambi gli organi, fissandone il rinnovo a primavera 2026.
La ragione è presto detta. L’attuale inquilino di Cà Farsetti, confermato per la seconda volta in data 20 settembre 2020, non avrà completato appieno i suoi secondi cinque anni entro la prima finestra utile per le elezioni comunali fissata dalla legge tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025.
In Italia, si sa, fin dai tempi di Giovanni Giolitti, cinque volte Presidente del Consiglio tra il XIX° e il XX° secolo, vale il criterio che: “le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici”. Data la situazione creatasi, facile presumere che da Palazzo Chigi arriverà al competente Ministro dell’Interno un input al quale l’attuale titolare obbedirà tacendo, come fanno i carabinieri.
Applicata la normativa vigente per Venezia, perché non usare le istituzioni per risolvere un’altra “grana politica” tutta interna alla Destra-Centro? Il quesito che si para davanti a Fratelli d’ Italia e la Lega è il seguente: chi scegliere tra i due Luca, Zaia (Lega) o De Carlo (FdI) per la Presidenza del Veneto?
In aiuto ai duellanti, arriva un lieto evento. A quasi 70 anni da Cortina 1956 e a quasi 20 anni da Torino 2006, le Olimpiadi e le Paralimpiadi Invernali tornano in Italia e in Veneto e saranno inaugurate a febbraio 2026. Luca Zaia si è speso tantissimo per ottenere questa grande manifestazione internazionale, perché votare nel 2025? Meglio nel 2026, quale è il problema? Di per sé anche l’attuale Governatore è stato eletto a settembre 2020, quindi la situazione è la stessa di sindaco lagunare.
Inoltre e del resto, i cittadini veneti -ogniqualvolta sono interpellati dai sondaggisti- si dichiarano arcicontenti del loro governatore. Un piccolo spostamento in avanti, cosa potrebbe cambiare nell’orientamento dell’elettorato in carne ed ossa? Quasi niente e come vedremo più avanti, l’affermazione è attendibile.
Se andrà casi, la Destra-Centro avrà in sua disponibilità più tempo per mettersi d’accordo e magari conciliare le esigenze di tutti e tre gli aspiranti ai vertici istituzionali a termine: Brugnaro, De Carlo, Zaia.
A mano a mano che le nespole matureranno, spetterà al consueto circolo mediatico locale: divulgare, chiarire e spiegare le “ovvie (?)” ragioni delle scelte effettuate ai propri lettori/spettatori/followers.
Tutte queste chances sono una privativa del governo amico in sella a Roma. A chi-all ‘opposto- non si riconosce in quest’area politica, conviene attenersi scrupolosamente alle cadenze di legge e mettersi in marcia, cominciando a elaborare qualche idea utile e sul programma e sul processo democratico per discernere cosa fare e con chi, preparandosi -in tempo- per il prossimo quinquennio amministrativo.
Sgombriamo subito il terreno da un falso dilemma: prima il programma e poi il candidato sindaco (presidente di regione) o viceversa. Della serie è nata prima la gallina che ha fatto l’uovo, oppure è maturato prima l’uovo dal quale è uscito il pulcino che diventerà gallina? La risposta è banale, lapalissiana: servono entrambi sebbene con tempistiche leggermente differenziate. Che la data effettiva delle amministrative sia in primavera del prossimo anno oppure in quella del 2026, per il “campo alternativo” poco cambia, a meno che -come già successo per le comunali di Venezia nel 2020- il Csx voglia strozzare in culla la voglia di contare nelle scelte importanti del proprio elettorato. Se così sarà, la nomenklatura romana, regionale e lagunare del “campo santo”, giocherà di sponda con la Destra-Centro facendo finta di opporsi: già visto.
In prima battuta ci occupiamo del Comune di Venezia, non casualmente Capoluogo della Regione del Veneto.
Venezia, come si sa, ha un centro storico unico ed irripetibile al e nel mondo, ma per andare oltre la Disneyland attuale e nello stesso tempo sviluppare adeguatamente e convivere proficuamente con la propria terraferma non sopraffacendosi l’una parte l’altra, terraferma contro (versus) centro storico, serve identificare obiettivi e priorità unitari e solidali per l’intero tessuto urbano. Va da sé che il programma deve essere: discusso e partecipato dall’intera comunità: civile, economica, religiosa, sociale e territoriale. Data l’eccezionalità della città d’acqua per antonomasia, questa fase non può essere lasciata agli affabulatori di sempre, ai capipopolo pro-tempore, alle stanche e ripetute litanie di proposte lanciate in campagna elettorale, poi disattese nel concreto: come troppe volte è accaduto.
Un programma minimamente credibile è composto da: scopi che si vuole raggiungere in un dato lasso di tempo, strumentazione opportuna per l’attuazione, risorse economiche adeguate ma credibilmente reperibili. In vista di elezioni, di qualsiasi livello, i partiti (le liste) che si candidano a governare -in questa tornata- la città e la regione tuttalpiù si fermano alla prima fase, che consiste nel costruire e diffondere spot pubblicitari, molto simili alle grida degli imbonitori da sagra paesana di un tempo.
L’elettore è sollecitato a ragionare di pancia, qualche volta di cuore e raramente gli è chiesto di usare il cervello, fruttuoso sarebbe un mix tra le tre componenti. La corsa è tutta giocata al ribasso: obiettivi annunciati ma misurabili? Strumentazione prevista e verificabile in corso d’opera? Per gran parte della dirigenza partitica e/o delle liste sedicenti “a-politiche” (?!), trattasi di tecnicalità somiglianti al ciarpame da buttare a mare, pardon in laguna. L’unica meta è quella di vincere le elezioni, iniziando da subito la lotta dura e pura per spartirsi il bottino agguantato: alias le cariche di governo e sotto-governo.
È sempre stato così, ma nell’ultimo trentennio le cose sono peggiorate, perché abbiamo votato-più o meno consapevolmente- “les imbéciles au pouvoir”, tranne qualche raro esempio positivo di politici/amministratori all’altezza del posto ricoperto. .
Tutti, a gran voce, invocano uno scatto di qualità detto anche cambio di passo e per i più acculturati, un salto di paradigma. Ecco qui, per brevi cenni, un iter logico-sequenziale da seguire per chi vorrà cimentarsi, per tutti gli altri resta sempre la modalità in auge: programma stringatissimo general-generico ad uso dei mass e social media e una volta arrivati al potere, da subito, ingaggiare una lotta serrata per la spartizione del bottino.
Riferendosi a Venezia, una prima riflessione riguarda la valutazione dei risultati delle elezioni comunali del 2020. I dati sono eloquenti. Degli otto candidati-sindaci, ben sei hanno raccolto un consenso al di sotto del cinque per cento e di questi tre, sono rimasti allo zero virgola. Costoro ed annesse liste di sostegno, pensano ancora di rappresentare qualcosa e qualcuno? Pierre de Coubertin affermava “importante è partecipare alle Olimpiadi, non vincere” pienamente concordi, la testimonianza è sempre un valore da apprezzare ma quanto è condiviso nella pratica quotidiana da parte di ciascuno di noi? Nel 2020 alle comunali, la percentuale di astensione registrata (38.2%) è stata in lunghezza d’onda con il dato che si avrà alle politiche nazionali del 2022. Per i due migliori piazzati, entrambi appoggiati da cinque liste, the winner ha ottenuto voti pari al 54.27%, il secondo il 29.27%. Brugnaro sta, dunque, comandando con meno di un terzo degli aventi titolo. Questione da porsi, che fare per riportare alle urne chi non ci va più? Il non voto veneziano, ha (ha avuto) delle sue specificità?
Venendo al programma. Esso deve rappresentare, necessariamente, una convergenza fra soggetti diversi per storia, ispirazioni, visioni della società, interessi rappresentati. Chi decide di correre “insieme”, ha (dovrebbe avere) già chiaro che vuole trovare un minimo comun denominatore utile alla città di Venezia, di durata quinquennale e per contribuire a risolvere i problemi che essa ha. Niente di più e niente di meno.
Regola basica: riscoprire il valore del presenziare e negoziare, in diritto civile si chiama “compromesso”; di per sé non deprecabile a priori se fatto non per sé medesimi o per la propria corrente partitica. Al “tavolo programmatico”, è inutile esserci con un atteggiamento del tipo, “o mi accettate la sub-lagunare o non ci sto”. Chi “vuole convergere”, discuta e fissi obiettivi di mandato seriamente raggiungibili e concordati da e tra tutti i partner potenziali. La logica bipolare delle elezioni comunali è stabilita a priori dalla legge istitutiva, non è un’opzione facoltativa per chi si presenta all’elettorato. Finora ha permesso stabilità di governo ed è molto semplice da capire, o con una parte o con quella avversa. A differenza del sistema maggioritario regionale a turno unico, qui vi sono (perfino) due turni. Al primo ci si pesa e si viene pesati nel e dal gradimento raccolto, nel secondo si opta per uno dei due primi arrivati, oppure si resta a casa aspettando Godot. Tertium non datur.
Chiosava Charles De Gaulle ai propri ministri, “i dossier vanno letti e capiti prima di presentarli in Consiglio dei ministri”. La pratica, intitolata “modalità di elezione del sindaco e dei consiglieri comunali”, deve essere esaminata attentamente da chi intende partecipare al palio cittadino. Al primo giro sono ammessi tutti gli aventi diritto; al secondo giro vince chi prende più preferenza tra i due già classificati. Ognuno sa le differenze tra le regole della maratona, tutti corrono e quelle del tennis, due soli sono i giocatori in campo. Elementary, my dear Watson.
Per imbastire un programma a beneficio della collettività occorre, almeno, conoscere e saper stimare -in tutte le loro ricadute- una serie di informazioni validate. Esame dei programmi triennali e annuali delle opere pubbliche previste, realizzate e in via di realizzazione nel decennio “Brugnaro” appena trascorso. Sempre in tema di oo.pp, quantificazione delle risorse impiegate per ripartizioni territoriale, scostamenti tra il programmato e l’attuato. La stessa operazione va fatta per le aziende partecipate, in relazione alla loro missione: ACTV a seguire tutte le altre. Sempre dai consuntivi per anno e aggregati nel decennio, va rilevato, al netto di tutti i mutui e/o prestiti di qualsivoglia origine ed in essere, la capacità d’indebitamento che oggi ha il Comune. In altre parole, come per una famiglia, dati i debiti pregressi da restituire, quanto denaro posso chiedere al circuito creditizio per opere/servizi che ritengo essenziali considerato il programma presentato? Inoltre, fatto cento le entrate del Comune, quale è la % di entrate proprie -non impegnate già in mutui o altro- che è “libera” per destinarla agli impegni assunti in campagna elettorale? Si sa che il Comune non può chiedere soldi per investimenti contando sui trasferimenti UE, Statali e Regionali doverosamente contabilizzati alla voce entrate del bilancio comunale. Fatto cento la spesa corrente, quanta è quella incomprimibile (personale ad esempio) e quale è la % “libera” per progetti/servizi assicurati all’elettorato? I dati li possono chiedere gli attuali consiglieri comunali.
Queste indicazioni sono il minimo sindacale, da avere al più presto e da condividere con i partner potenziali. Trattasi, in realtà, della piattaforma di partenza, un po’ come il Karaoke per chi vuole cantare ed entrare in scena. Senza” la base”, tutto il resto è fuffa e propaganda, molto in voga nei tempi attuali, chiamasi “comunicazione e marketing politico” per imbonire il pubblico.
Sul come scegliere candidatura a Sindaco e squadra, va ricordato quanto accaduto nel corso del 2019. Un incipit di grande capacità di mobilitazione del civismo, poi però naufragata sugli scogli dei partiti e dei personalismi. Dato storico accertato, irreversibile ed inconfutabile.
Il dibattito nella città lagunare per il post-Brugnaro è già partito. Meritano una segnalazione gli interventi di due ex-parlamentari: Michele Mognato e Pierpaolo Baretta. Il primo un ufficiale gentiluomo che ha esposto le sue analisi e proposte, dimostratosi coerente e nel dire e nel fare. Il secondo, pur analitico e ricco di idee, è stato un po’ contradditorio nel suo agire. Infatti, M. Mognato non più eletto onorevole, ha ripreso tranquillamente la sua attività lavorativa e nel tempo libero si dedica alla passione di sempre: la politica. Il più volte sottosegretario P. Baretta, è una persona che, insignito dell’onore (ed anche dell’onere) di rappresentare il centrosinistra nel 2020 al Comune di Venezia, invece di starsene in Consiglio Comunale a fare opposizione, ha preferito andarsene a “lavorare” a Napoli. Chissà e magari, restando in Consiglio Comunale per cinque anni –per il “bene della città” come si usa dire-, avrebbe potuto (forse) far crescere un’alternativa per il futuro. Non è accaduto.  
Ma a Venezia, prima di “chiudere” sulla candidatura di Baretta c’erano state richieste di scegliere la candidatura da proporre agli elettori tramite le primarie, ma restarono inevase malgrado l’obbligo sancito da statuto PD.
Il “caporale” Marco Zanetti, un iscritto veneziano a frittata oramai fatta, ha presentato ricorso ai livelli regionale e nazionale. Finora nessuna risposta, Elly Schlein inclusa. La domanda è semplice: il PD nazionale e regionale credono ancora nelle primarie? Sono convinti che è meglio proseguire nel solco storico dell’accordo tra le tribù interne o tuttalpiù esteso a quelle del “campo allargato”? Ai due interrogativi, basta rispondere o si, o un no; non giova a nessuno restare nella “melma”.
Elaborato e condiviso il programma redatto per scopi, mezzi e risorse entro la fine di ottobre dell’anno corrente, è opportuno interpellare direttamente la “base sociale” chiamandola a scegliere tra chi avrà sottoscritto le proposte e avrà raccolto almeno cento firme a suo sostegno. Soddisfatti i due requisiti anzidetti ed indette le primarie di coalizione, più concorrenti risulteranno iscritti alla maratona meglio è per il cittadino-votante, che così avrà più opzioni da valutare. Prima di partire ciascun potenziale candidato alla poltrona di sindaco, avrà sottoscritto la clausola di accettazione del risultato della corsa pardon l’esito delle primarie e avrà assunto l’impegno di non abbandonare la squadra e l’organizzazione che ha allestito la corsa. Il primo classificato è (sarà) il leader-candidato ufficiale del raggruppamento cittadino, da presentare nella competizione istituzionale. È la democrazia bellezza!
Scenario alternativo. Lasciando correre i mesi, i vertici partitocratici nazionali (e coloro che li frequentano standosene in laguna) possono legittimamente assumere come “regola” il metodo lucana alias Basilicata.
Livello Regionale
Spostiamoci, adesso, sul palcoscenico Veneto. Luca Zaia, come tutti sanno, oramai fa parte del mobilio pregiato ed insostituibile di Palazzo Balbi. Egli, infatti, risiede lì da circa 20 anni, quasi 5 da Vice-Presidente di Galan e con l’anno di grazia 2025 compirà i suoi primi 15 anni da Presidente del Veneto. È una presidenza matura e maggiorenne.
Non date retta alla bagatella delle c.d. “tre legislature” imbracciata da Salvini come battaglia epica: tutto fumo. Non esistendo limiti di mandati a consigliere regionale, nulla vieta a Luca Zaia di ripresentarsi con la lista omonima da lui capeggiata ed indicare come Presidente per le prossime elezioni il bravo Sindaco di Treviso, all’anagrafe Conte di cognome e di nome Mario. Una volta vinte le elezioni, invece che accogliere le persone al secondo piano di Palazzo Balbi, traslocherà al terzo piano dove troverà ottimo spazio nella stanza dedicata al Vice-Presidente. Per chi fatica e arranca a salire dati i ripidi scalini, la sede nobile è dotata di ascensore che giunge fino al terzo piano. Per gli studiosi dei comportamenti “innovativi” (si fa per ridere) della Lega esiste già il precedente Gentilini, anch’egli già Sindaco di Treviso.
La Regione del Veneto, caduta la prima repubblica, ha avuto due Presidenti. Luca Zaia, secondo in ordine cronologico, è indubbiamente migliore del suo predecessore che per restare a piede libero e non andare in galera, ha dovuto patteggiare con la giustizia. Del resto, Luca Zaia, persona modesta ma onesta, incarna così bene il motto trevigiano “mi non vo a combatar” che, nel corso di questo suo primo ventennio, ha governato da Palazzo Balbi rispondendo, in modo cosi diligente ed interessato da apparire in ogni situazione sottopostagli che stava producendo il massimo sforzo, ma che sicuramente si sarebbe potuto fare di più, molto di più, però in caso di esito negativo ciò non era dipeso (non dipende) da lui, ma dagli ostacoli da addebitarsi ad altri ed alti livelli e/o istituzioni. Chapeau!
In verità, il Veneto, per la sua struttura economico-produttiva e per le sue peculiarità sul versante sociale e civile, può tirare avanti di suo anche senza l’Ente Regione, specie se questa struttura opera come un “comunone” e non come un soggetto costituzionale con una propria visione politica per le competenze assegnate in grado di: programmare, legiferare e controllare vitali settori della comunità regionale. Commentava Giulio Andreotti: “meglio tirare a campare, che morire”. In effetti, con Luca Zaia e tutta la compagnia del cdx siamo e stiamo al “minimum vivere”, slanci in avanti tipo Alpe-Adria di Carlo Bernini a cortina di ferro (USA-URSS) vigente, proprio non si sono visti, manco avvistati segnali di fumo all’orizzonte.
Altro stile e sostanza in termini di lungimiranza politica-programmatica. Luca Zaia? Un Presidente piacente e suadente, un amministratore ordinario del condominio denominato “Veneto”.
Il Presidente attuale, nell’esercizio ventennale del potere ha dimostrato una forte abilità -appunto- di restare sempre understatement, probabilmente un po’ per carattere e un po’ per non voler/saper affrontare e risolvere i problemi di fondo della “questione Veneto”. In primis la battaglia sulla c.d. Autonomia, griffe della Lega da più di trent’anni, irrisolta ancor oggi. Verrà da sorridere, quando sarà approvata il baratto Lega-FdI alla Meloni il premierato a Salvini l ‘Autonomia differenziata”, che non è la raccolta della spazzatura, variabile nelle modalità a seconda del comune. Allora, i cittadini scopriranno che non si tratta di una legge di immediata applicazione. Lì sono fissati i percorsi (le procedure) che a differenza di un sentiero in montagna dove il camminatore sa il luogo di partenza e quello di arrivo, nella legge tutto è più scivoloso. Certo esiste un punto di partenza, ma quello di arrivo benché programmato, è molto affidato al “buon cuore” di tutti i casellanti che dovranno dare il via libera al transito dell’accordo bilaterale Regione-Stato. La volta scorsa le norme che trasferivano competenze alle Regioni partite nel 1970, arrivarono in meta con l’ultimo decreto utile nel 1998. Chissà come andrà nel terzo millennio: aspettiamo in panchina con viveri adeguati e con il dispositivo digitale sulle ginocchia.
Tornando all’attualità, abbiamo già assistito allo scivolamento verso il privato della sanità pubblica regionale con l’allungamento delle liste d’attesa, abbiamo notato la mancata immediatezza e tempestività d’ intervento nella vicenda dei Pfas: acqua contaminata da composti chimici di sintesi in vaste aree centrali della regione ed era già aspettato il prevedibilissimo deficit della Pedemontana Veneta caricata per i prossimi 35 anni nel bilancio regionale. Trattasi di dettagli che, se visti in una retrospettiva degli ultimi vent’anni, stracolma di risultati insperati e mai raggiunti prima da qualsiasi altro predecessore di Luca Zaia, portano a domandarsi: ma quali sono stati? Senz’altro qualcosa è sfuggito alla disamina.
Certamente, in una cosa Luca Zaia – al pari del suo collega campano Vincenzo De Luca – eccelle. Questa e la costante presenza nel circuito mass-mediatico nazionale, regionale e locale. Egli è indefesso nel presenziare di persona o tramite interviste cartacee e/o televisive, mostrando e dimostrando qualità impareggiabili ed emblematiche. Difficile dimenticare la sua partecipazione quotidiana durante la pandemia da Covid-19, allorquando divenne uno di famiglia, un nostro commensale e a pranzo e a cena: affidabile, stimabile e quindi votabile.
Non è certo una casualità, se entrambi i Presidenti di Campania e Veneto, alle ultime regionali hanno raccolto la più alta percentuale di consensi rispetto ai loro pares.
Quanto sopra è suffragato, dai dati elettorali del 2020 che danno Luca Zaia primo con il 76.78% (la sua lista è prima tra quelle della coalizione con il 44.57%) e Arturo Lorenzoni, secondo con il 15.72% dei consensi; il Cdx ha il 77% delle preferenze e il Csx il 16.32. L’archivio elettorale del Ministero degli Interni mostra come nel 2020 sette sono stati gli aspiranti governatori, con percentuali che oscillavano tra il 3.52% dei 5 stelle e gli altri sei fermi allo zero virgola, in perfetta analogia con i loro colleghi aspiranti a Cà Farsetti.
Alle regionali, il sistema elettorale permette che una coalizione abbia 1 voto in più della seconda arrivata e ope legis, alla prima è garantita la maggioranza assoluta dei seggi in Consiglio Regionale, oltre- ça va sans dire – la Presidenza della Regione.
Alla prossima tornata, le ipotesi in campo sono sostanzialmente due. Il cdx si presenta unito, la partita è già vinta in partenza, pur potendo immaginare qualche punto percentuale in meno. Se, invece, da Palazzo Chigi si insiste con la ventilata candidatura di L. De Carlo, può scattare la “variabile Zaia”. Ora, spaccando la mela del cdx in due ciascuna parte potrebbe vantare un 38.5% pro-capite, ma l’attuale governatore è favorito poiché -come abbiamo sopra scritto- ha un suo elettorato di riferimento indipendentemente dalla Lega.
In politica tutto può succedere, ma tenendo presente l’indole conservativa (la predilezione per il mantenimento dello status quo) dei Veneti, arduo prevedere cambi repentini o improvvise folgorazioni sulla via di Damasco.
Il Comune di Venezia, viceversa, appare più contendibile considerando la scarsa qualità delle performance offerte dal Sindaco uscente e ricordato che prima dell’attuale decennio a trazione Cdx, il Csx (la sinistra) ha governato a lungo nella città lagunare. Il Veneto, a contrario, è tutt’altra storia.
Sull’argomento è interessante l’articolo di “fantastoria” scritto da Marco Zanetti su questa testata: “il Veneto che poteva essere, ma che non si è voluto”. In effetti la casistica alla Baretta è rinvenibile anche nei tipi alla Variati, alla Martella, alla Zanonato (e tanti altri meno significativi). Siffatta catalogazione dei politici, ricorda l’aneddoto del priore che andato a visitare il convento del proprio ordine incontrò a cena i frati e disse loro: “Cari fratelli, vi vedo qui tutti belli, rubicondi e in salute, ma stamane ho visitato il granaio e la cantina e li ho trovati vuoti: come mai? “I frati stettero tranquilli, chinarono la testa ma continuarono a mangiare serenamente.
Il significato della novella. Il PD, è stato una “fusione a freddo”, come ebbe a dire un politico di razza come Massimo D’Alema. In effetti, in questi anni le due nomenklature partitiche (ex sinistra Dc ed ex riformisti PCI) che -in sostanza- hanno dato vita prima al Csx e poi al PD, non sono riuscite ad allargare il perimetro del consenso, ma i principali dirigenti del PD-Veneto hanno goduto di posizioni di rilievo e in Parlamento e nel Governo del Paese. La ditta si misura con il fatturato aziendale, un partito con la preferenza dei votanti, ecco qui il Csx in Veneto: 33%nel 1995, nel 2020 16.%; europee 2019, 18.9%. Chissà a giugno fin dove arriverà.
Venendo quindi alla Regione, in entrambe gli scenari sopra delineati il Csx non tocca palla, pertanto -come a Venezia- chi non si riconosce nella Destra-Centro, o fa testimonianza, oppure contribuisce con idee, persone e voti ad arricchire il “campo alternativo”, preparandosi ad altri cinque anni di dura opposizione auspicando che il leader (mancato Governatore) comunque scelto con le primarie di coalizione abbandoni la squadra cammin facendo: già successo nel passato per ben tre volte.
Sperabile, infine, che il PD rectius l’anima “governativa poltronista”, non si ponga quale ancella del presumibile vincitore: può succedere.

Enzo De Biasi

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