# Tags
blank
blank

L’IMPRENDITORE CHE NON HA MAI SMESSO DI METTERSI IN GIOCO: GIANCARLO GHIOTTO HA PORTATO IL NOME DI MONTECCHIO NEL MONDO

blank

Renato, Renzo, Vittorio, Giancarlo, quattro fratellini immortalati in una vecchia foto. Uno accanto all’altro in fila, in base all’età che corrisponde anche all’altezza. Il più piccolo da sinistra a destra è Giancarlo il protagonista della nostra rubrica dedicata a persone che contano nella nostra provincia.

blank

Giancarlo Ghiotto, classe 1928 montecchiano, imprenditore di successo, ha contribuito con la sua attività a far crescere Montecchio Maggiore, ma anche a farla conoscere nel mondo.
La foto storica è testimonianza di una famiglia nota della città castellana e risale agli anni trenta: “Eravamo una bella famiglia, non posso lamentarmi. Ho avuto due genitori molto diversi tra loro, ma complementari. Mia madre Letizia in particolare fu determinante per me, così forte nella sua dolcezza. Se siamo diventati quello che siamo stati lo dobbiamo a lei.”

blank
blank

Quattro fratelli, personalità diverse, ma tutti determinanti per la storia di Montecchio. Renato, il primogenito, è stato giornalista, scrittore di successo. Diventò direttore del Giornale di Vicenza a soli 22 anni nel primo dopoguerra e poi, trasferitosi a Roma, diresse settimanali importanti come il Mondo e la rivista “Cronache del cinema e della televisione”.
Renzo, il partigiano Tempesta, amico di Meneghello e Giuriolo, ha condiviso molta della strada del nostro Giancarlo. Vittorio invece scelse una strada diversa, divenne medico chirurgo e si trasferì fin da subito a Thiene.
Giancarlo ricorda la Montecchio della sua infanzia e giovinezza come molto diversa da quella che è oggi. “Non c’entra niente con l’odierna sia come persone che come sentimento. Non c’era nulla, si era poveri allora. Ma si era più uniti. Ricordo quando nel nostro cortile ci si riuniva verso sera per “sgabotare” il granturco. Arrivavano i vicini, si univano a noi, insieme si lavorava. Si condividevano lavoro, ciacole e canti. E c’era molta solidarietà”.
Ricorda la vecchia fattoria, che era la sua casa, proprio di fronte a via Vescovo Carlassare, ai confini del quartiere di San Pietro. “Mio padre possedeva i campi nella zona dove ora c’è la Xylem, mentre le stalle confinavano con la Villa Cordellina. Un mio zio sacerdote lasciò alla famiglia la sua abitazione che si aggiunse a quella già di proprietà. Quella fu proprio la prima sede delle mie aziende”. Era uno zio molto speciale, di cui la famiglia conserva ancora i breviari con i suoi sermoni, ma soprattutto dava scandalo perché leggeva quotidianamente il Corriere della Sera.
Mentre i fratelli maggiori frequentavano l’università e si relazionavano con il fior fiore del mondo intellettuale vicentino e veneto e diventarono protagonisti della Resistenza al Nazifascismo, Giancarlo frequentò il Rossi e subito trovò impiego alla Pellizzari di Arzignano. Un posto sicuro che gli avrebbe permesso di fare carriera, ma subito capì che non era la sua strada. Fu preso da quello che il fratello Renato chiamò “il Boion della stupidela” ovvero il desiderio, quasi la frenesia, di avviare una sua attività. “Per noi boion indicava un grosso foruncolo, qualcuno lo chiamava cioato, comunque un’eruzione della pelle che aveva bisogno di esplodere o di essere fatta esplodere. Stupidela era invece il nostro modo di definire una stupidata e secondo mio fratello era una sciocchezza perché le possibilità di riuscita erano scarse. Mio padre addirittura non mi parlò per un anno, perché stavo lasciando la sicurezza per un’avventura”.
Invece fu la prima tappa di uno splendido percorso che prese origine dalla creazione dell’azienda GG. “Si facevano lavori vari, in particolare avvolgimenti ad applicazioni particolari e poi si riparava, perché allora non si buttava via niente. Inoltre mi cimentai nel costruire i motorini elettrici monofase e gli avvolgimenti per le trombe delle auto. Arrivò poi l’incontro con Vinicio Mettifogo di Arzignano che era in contatto con l’ideatore di una pompa, detta “turbinella”. Mettemmo in comune le forze ed iniziammo a produrre questa speciale pompa idraulica. Così cessò l’esperienza GG e fu fondata la Calpeda che ebbe a lungo la sua sede dove stava la vecchia filanda a fianco del Duomo. Nel frattempo mio fratello Renzo rientrò dall’Argentina e così lo accolsi all’interno della azienda, ma il suo arrivo sconvolse gli equilibri e così pensai fosse meglio vendere le mie azioni a Mettifogo per dare inizio ad una nuova avventura. Allora dovevano trascorrere 5 anni prima di poter diventare produttore ufficiale dello stesso prodotto che producevo nella vecchia azienda. Così fu mio fratello Renzo a investire le mie vecchie azioni. Nacque così la Lowara”.
Nelle terre che appartenevano alla famiglia, proprio in via Lovara di Montecchio Maggiore, costruirono lo stabilimento che divenne ben presto leader mondiale di pompe idrauliche. Il nome dell’azienda nasce da un gioco di parole che trasforma una V in W, prendendo spunto proprio dal nome della via.
Quando poi sarà venduta l’azienda era arrivata a contare più di 1000 addetti e dava lavoro ad un indotto diffuso. Montecchio, infatti, è conosciuta proprio per la Ceccato, la Fiamm e la Lowara.
La nuova sede è diventata famosa per il contributo di un progetto di Renzo Piano, uno splendido e ricercato esempio di architettura industriale che ben si inserisce nel contesto ambientale della zona che sta ai piedi del Monte Nero accanto alla villa Cordellina.

blank

“Gli anni della Lowara hanno permesso anche a me di girare il mondo come i miei fratelli. E proprio viaggiando e conoscendo aziende che acquistavano le nostre pompe ho colto una nuova opportunità”. Come dire che nella sua testa si è innescato un nuovo “boion della stupidela”.
“Non era in realtà facile andare d’accordo con mio fratello. Io però non sopportavo che si litigasse, volevo vivere in armonia, per cui decisi di vendere le mie quote e accettare la proposta di una multinazionale americana. A quel punto anche mio fratello scelse questa strada. Avevo sessant’anni e potevo ritirarmi e vivere di rendita, ma il progettista che era in me mi spinse verso una nuova impresa, un qualcosa che potessi lasciare ai miei figli. Mi ricordai degli enormi cumuli di valvole in ottone che venivano buttate perché non funzionanti e pensai di proporre valvole in acciaio inossidabile, sicuramente migliori anche se molto più costose. Studiai a lungo, mi ci volle un anno e mezzo prima di avviare il mio nuovo “boion della stupidela”: valvole in acciaio inox stampato che regolano il flusso di liquidi”.

blank

Un’idea che rappresenta anche una nuova visione della produzione: uso di materiale meno costoso dell’acciaio da fusione, ma più resistente e quindi più duraturo con più alta efficienza per ridurre il consumo di energia elettrica. Attenzione all’ambiente e risparmio energetico sono i pilastri di questa nuova avventura che Giancarlo vive in prima persona fino a qualche mese fa, all’età di 95 anni. Oggi si è ritirato dall’attività ma segue a distanza il lavoro dei figli Nicola, Amministratore Delegato dal 2016, e Lorenza, responsabile del coordinamento interno dell’azienda, mostrando così di essere molto diverso da quel papà che non voleva che il più giovane dei suoi figli si avventurasse nell’impresa di fondare la GG. Lo faceva sicuramente per amore, lo stesso che ha spinto Giancarlo a rimettersi in gioco a sessant’anni. L’amore per la sua famiglia che poi è stato anche amore per i fratelli che non ha esitato ad accogliere nei suoi progetti.
Ma l’amore più grande è quello che ancora manifesta per la sua Gabriella, la moglie che lo ha accompagnato passo passo, lo ha incoraggiato, lo ha sostenuto e gli è a fianco da quasi sessant’anni.
Insieme hanno avuto tre splendidi figli dai quali sono arrivati 11 nipoti, una gran bella famiglia!
Giancarlo ha incontrato Gabriella tramite il cugino Nino di Lonigo che ne era allora il fidanzato. La moglie ricorda di essere rimasta molto colpita da quel giovanotto gentile, che tornava da una passeggiata in montagna e aveva portato un mazzo di azalee alla mamma. “Tolse dal mazzo un ramoscello e me lo donò, un gesto che lasciò il segno”.
Il matrimonio si celebra nel 1966 e per i novelli sposi è quasi pronta anche la casa che Giancarlo ha sognato, desiderato e costruito appena sopra Villa Cordellina, in una zona che lui frequentava anche da bambino quando accompagnava a caccia Daniele Carlassare.
Quella casa piano piano, grazie anche alla dedizione di Gabriella, è diventata un luogo di pace e di bellezza, ma anche un luogo di ritrovo di una gran bella famiglia.
Dalla poltrona, dove oggi trascorre gran parte della giornata, vede il grande prato dove zampettano i merli appena usciti dal nido, scorge tra le fronde villa Cordellina e non può che essere soddisfatto del lungo cammino intrapreso quando era un giovane pieno di idee e di voglia di fare. O forse ripensa a quel bimbo paffutello che i fratelli più grandi quasi proteggevano, ma che a sua volta lui ha aiutato, grazie alla sua capacità di trasformare le idee in progetti concreti.
Nel suo cuore, però, un posto speciale è riservato al fratello Renato: “Lo rispettavo. Era straordinario nel parlare e nel descrivere. Ogni sua parola era importante, pesava, interessava. Ma era fondamentalmente triste”.
Dal fratello, che amava l’arte in tutte le sue forme, ha sicuramente ereditato il gusto del bello e dell’elegante e oggi ancora si fa mecenate in tante iniziative culturali che valorizzano il genio, l’idea che bolle in testa e nel cuore e vuole farsi conoscere. Il boion della stupidela, appunto.

blank

blank
Sottoscrivi
Notificami
guest
0 Commenti
Più vecchi
Più recenti Più votati
Feedbacks in linea
Vedi tutti i commenti

PIU' RECENTI

0
Lascia un commentox