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LA FARMACIA LOVATO HA CURATO PER OLTRE CINQUANT’ANNI GLI ABITANTI DI ALTE CECCATO

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In viale Stazione, negli anni cinquanta, c’era tutto quello di cui un paese poteva aver bisogno quando cominciarono a stabilirsi stabilmente gli operai della Ceccato, i suoi tecnici e i suoi dirigenti.
Quindi anche la farmacia, avviata da due sorelle, le dott.sse Muraro di Padova.

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La farmacia in Viale Stazione – Foto Cabalisti

Queste, un po’ avanti negli anni, cedono l’attività al dott. Adolfo Lovato e oggi, dopo più di cinquant’anni, la Farmacia conosciuta come Lovato, è stata ceduta ad una multinazionale, che gestisce il settore farmaceutico attraverso una struttura molto centralizzata. Superata dunque anche la figura del farmacista che accanto al medico condotto e al parroco conosceva tutti ed interagiva con tutti.
Oggi chi lavora in farmacia è sempre più un impiegato del farmaco invece che un dispensatore, oltre che di medicine, anche di consigli e incoraggiamenti.
Il dott. Lovato, che tutti ricordano per la sua stazza, ma anche per modi di fare un po’ burberi, entra nel negozio accompagnato da una sua stretta collaboratrice, la signora Michela, donna energica, precisa che immediatamente apre le porte ad un giovanissimo suo conoscente, Ruggero, che allora stava frequentando la terza media e che non ha dubbi nell’accettare la proposta di lavorare in farmacia.

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Oggi, il giovane entrato in negozio con i calzoni corti e che di cognome fa Camerra, è in pensione e un po’ rimpiange quei tempi.

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Ruggero Camerra

“Sono entrato in farmacia per fare un aerosol, a quei tempi si faceva così, e sono uscito con l’opportunità di un lavoro dietro casa. Non sapevo niente di farmaci e ricette. Un po’ alla volta ho imparato e memorizzato nomi e proprietà di ogni medicina e mi è stata affidata la gestione del magazzino, della sistemazione degli scaffali, secondo un ordine ben preciso. Mi preoccupavo di ordinare quello che mancava o quel particolare farmaco speciale che non si aveva a disposizione.”
Non si è laureato, ma ha acquisito sul campo delle conoscenze e competenze importanti, utili a tutto lo staff di cui il dott. Lovato si è avvalso. “Avevo imparato anche a decifrare la scrittura dei medici che, è noto, non brillano per bella calligrafia. Ma la pratica porta a cogliere i particolari di una grafia. Quando non si riusciva a capire si procedeva con le domande al cliente o ci si consultava. Estrema ratio, telefonare al medico. Comunque alla fine la medicina veniva consegnata.”

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Ricorda che qualche cliente aveva paura di essere servito dal dottore, ma soprattutto gli informatori farmaceutici se ne andavano se vedevano dietro il banco il Dottore. “E invece, lui era un buono, con un tono di voce un po’ alto e questo poteva intimidire. Ha fatto di tutto per creare un buon ambiente di lavoro e ha messo insieme una buona squadra di collaboratori”.
A questa squadra, all’inizio degli anni novanta, si è aggiunto il figlio Francesco che il padre ha avviato alla gestione della farmacia. Anche la figlia è farmacista, ora in pensione, ma ha preferito non lavorare nella “bottega di Famiglia”.

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Francesco Lovato

“Toccava a me sostituirlo! E io l’ho accontentato un po’ fuori tempo massimo. Ero il suo cocco! E mi ha accontentato in tutto, anche troppo. Amavo lo sport, in particolare sciare, e quindi ero spesso in montagna. Poi sono diventato sommozzatore e per le immersioni ho praticamente girato il mondo. Ma è arrivato l’out out e ho dovuto concludere gli studi. Come dire che sono stato un giovane poco appassionato della teoria, ma il lavoro del farmacista mi è sempre piaciuto, soprattutto mi appassionava lavorare nel laboratorio e dedicarmi alla preparazione di quanto richiesto al di fuori della farmacologia più comune, per rispondere alle richieste di medicine accompagnate dalla nota del medico ‘sic volo’. Creme utili a curare arrossamenti, problemi di dermatite, ma anche dosaggio di polveri non esistenti in pastiglia. Lo si faceva utilizzando bilance speciali e delle cartine che si riempivamo con molta attenzione. Comunque per quanto mi riguarda, ricordo che non ho neanche fatto in tempo a tornare dalla discussione della tesi, che già mi sono ritrovato in farmacia e anche a fare i turni notturni. Era ora che mi mettessi a lavorare!” Lo dice con fare un po’ sornione ma è certo che con lui la farmacia ha cambiato sede, da Viale Stazione a Via Da Vinci in una porzione di quello che è stato il primo magazzino Ramonda e ha assunto l’aspetto luminoso e ordinato che ha tutt’oggi.

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Francesco Lovato e Ruggero Camerra

Racconta Ruggero: “Siamo stati i primi ad introdurre il sistema della cassettiera climatizzata, facile da aprire e chiudere. Siamo stati per tempo oggetto di visite da parte di chi voleva copiare il nuovo sistema proposto da una ditta tedesca. Insomma ne è passato di tempo da quando si andava a prendere i farmaci che arrivavano con la corriera e io andavo a piedi o in bicicletta a prenderli”.
E a proposito di sede della farmacia, ricorda: ”Nella vecchia sede c’era il magazzino nell’appartamento sopra al negozio e lì c’era anche “il buco”, lo spazio dove il dottore dormiva durante i turni notturni.
Nell’85, a seguito della grande nevicata, cadde una parte del soffitto e così momentaneamente la farmacia si spostò in un nuovo stabile da poco costruito di fronte all’attuale macelleria Peotta. Ci restammo per un bel po’ in attesa delle riparazioni e dell’OK dei vigili del fuoco”.

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“Noi saremmo restati in viale Stazione – precisa Francesco- ma non era possibile comprare per fare degli ampliamenti, così passammo in questa nuova sede dotata di magazzino, laboratorio e ufficio sul retro, nonché due piccoli ambulatori per le analisi veloci del sangue, la misurazione della pressione e l’elettrocardiogramma”.
Durante la pandemia la farmacia opera costantemente, senza però proporsi per i tamponi e neanche per fare vaccini. Ma Francesco si rende disponibile per aiutare un suo collega in quel di Bergamo durante la prima campagna vaccinale.

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Francesco Lovato durante la pandemia

Cinquant’anni sono tanti e se ne sono viste di cose passare davanti alle vetrine. “Quando si era in Viale Stazione era come essere una grande famiglia: si usciva e incontravi il fotografo, facevi una chiacchierata al bar Fontana. Ci si sentiva parte di un a comunità. Ma bisognava ampliarsi per rispondere ai cambiamenti socioeconomici. La nostra farmacia è quella che più ha vissuto l’arrivo di lavoratori dal mondo. Non è stato un problema per noi, abbiamo solo dovuto cercare di capire per aiutare. Capitava spesso che dopo aver spiegato come si assumesse un farmaco, la persona poco pratica con l’italiano facesse cenno di sì con il capo, se ne andasse e dopo 5 minuiti ritornasse per farsi rispiegare. Magari qualche persona del luogo ha smesso di frequentare la farmacia per la presenza di stranieri, ma è giunto il momento di fare i conti con la realtà: i condomini intorno, quasi tutti gli appartamenti sono stati comprati da famiglie straniere, ben inserite nel contesto. Ma abbiamo dovuto adeguarci anche alla presenza di una clientela che ha bisogno soprattutto di farmaci antifebbrili per i bimbi, o sciroppi, i cosiddetti prodotti da banco e tanti etici, antibiotici o cortisonici, meno di prodotti di cosmesi.”
La dematerializzazione ha semplificato di molto le procedure, oggi arriva tutto on line. Basta digitare il codice fiscale del paziente e si trovano le prescrizioni del medico. “Come farmacia abbiamo sempre lavorato insieme e operato i cambiamenti radicali collaborando, studiando insieme. Perché anche se sembrava un po’ burbero, mio padre faceva di tutto per creare gruppo. Se ci si comportava a dovere, se si faceva il proprio dovere, diventava la persona più disponibile in assoluto”.
Ruggero ricorda: ”A certi rappresentanti affidava il blocco degli ordini e diceva “Fa’ ti”. E poi spesso, quando si era di turno la domenica, spostavamo la scrivania dall’ufficio e la trasformavamo in un tavolo imbandito. Così ci siamo fatti le lasagne o altre delizie tra un suono di campanello e l’altro”.
Una grande famiglia che ha dovuto lasciare spazio al nuovo che avanza.
E precisa Francesco: “Un tempo in laboratorio travasavamo l’olio di ricino, l’alcol, oggi questo non esiste, tutto arriva confezionato e si perde il gusto dell’essere ‘speziale’ tra alambicchi e provette. Eravamo anche trattati bene. Mio padre aveva una grande stima di Michela che aveva in mano tutto, dai conti agli ordini, un vero braccio destro. Riconosceva il lavoro di ciascuno anche con gratificazioni economiche. Perché se si lavora in un ambiente sereno si produce anche di più.”
La nostalgia per un tempo passato è molta, specie per Ruggero che comunque non accetterebbe il nuovo modo di operare. “La grande famiglia che eravamo non esiste più!”

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Certo, molte cose sono cambiate nella nostra comunità: conosciamo sempre meno il medico condotto, la comunità parrocchiale quasi non esiste più, ma c’è la gente, un po’ diversa rispetto al passato, ma c’è e continua ad aver bisogno di farmaci e di cure e la farmacia non chiude mai!

Rosanna Frizzo

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