Il LR Vicenza è andato a un master tenuto dal professor Mantova Calcio sulla materia “come si gioca a calcio” e si spera abbia imparato qualcosa. L’allievo, in effetti, nel confronto con il maestro si è dimostrato ancora più impreparato di quanto si poteva pensare e si è limitato a fare da spettatore o da sparring partner della capolista.
Il faccia-a-faccia è stato impietoso perchè il Mantova è stato la concreta rappresentazione di quello che avrebbe dovuto essere il Vicenza quest’anno (e non solo quest’anno) e che, invece, è tutto il contrario.
Il Mantova ha, prima di tutto, un gioco e un’identità. È un piacere, per chi ama il calcio, vedere in campo questa squadra che sa gestire la gara, con i giocatori che sanno cosa fare con o senza palla, che si muove come un gruppo uniforme e coordinato.
Il Mantova ha anche un bravo allenatore che, praticamente al debutto come primo, ha dimostrato di aver improntato la sua squadra ad un’idea di gioco moderna e funzionale. Possanzini ha in pugno i suoi giocatori, sa cosa chiedere loro e sa cosa possono dargli. Evidentemente aver fatto per tanti anni il secondo di De Zerbi gli è servito.
Il Mantova, infine, ha una rosa di buon livello e ben assortita, assemblata con capacità manageriali e buon fiuto pur dopo il ripescaggio. Gente con Burrai, Mensah e il portiere Festa (svincolati dal Pordenone e quindi a costo zero) fa la differenza in campo e gli altri non sono da meno, pur non avendo chissà che pedigree.
La capolista ha giocato al Menti la sua miglior partita, ma non sempre è andata così. Ha perso a Trieste buscando 4 gol e in casa con il Trento e ha pareggiato con il Padova e, a Busto, con la Pro Patria. Ciò significa che qualcuno è riuscito quanto meno a contenerlo e non è stato il caso del Vicenza. In altre gare, poi, non ha giocato altrettanto bene.
Guardando in casa biancorossa, bisogna dire che le promesse dei vari direttori durante la settimana e quelle dell’allenatore nella conferenza stampa della vigilia sono state smentite dal campo. Sono mancati perfino l’orgoglio, la voglia di non sfigurare di fronte a un avversario a cui ci si ritiene alla pari (Diana si starà mangiando le mani per quella dichiarazione), la volontà di provare ad avviare il riscatto prima che sia davvero troppo tardi.
È evidente che il Vicenza oggi (ma è così da almeno un mese) sia una squadra-non squadra, costruita in modo sbagliato e mal assemblata, che un allenatore forse sovrastimato non è riuscito a rendere stabile e omogenea (e nemmeno a darle un gioco), che ha giocatori vistosamente fuori condizione e spaesati e ormai rassegnati.
Il campionato non è nemmeno arrivato a metà ed è già tempo di riprogrammare la stagione. L’obbiettivo è sempre la promozione ma attraverso i play off e, quindi, la mira è arrivare nella migliore posizione possibile nella classifica finale del girone. Non è facile perchè ci sono altre squadre che, al momento, viaggiano più spedite.
Questa squadra deve essere ricostruita, sia nella rosa (perchè non si può andare avanti con giocatori che non garantiscono il rendimento necessario) sia nella guida tecnica perchè Diana non riesce a gestire il gruppo e si dev’essere inceppato qualcosa nelle relazioni con qualche calciatore. Anche il contesto dirigenziale e societario va riorganizzato: il silente dg Sagramola (corresponsabile per sua ammissione anche dell’area tecnica) e il mite ds Luca Matteassi devono fare uno scatto e sfoderare le capacità tecniche e gestionali per cui sono stati assunti.
Il presidente faccia la sua parte con un po’ più di partecipazione e empatia perchè tutto l’ambiente ha bisogno di una bella ricarica. La proprietà non si limiti a episodiche e non sempre utili uscite sui media: Renzo Rosso partecipi alla vita vicentina, sia tifoso tra i tifosi, trovi un’altra figura amata dalla piazza (dopo aver esonerato Di Carlo e perso Paolo Rossi) che faccia da tramite con una comunità che ormai in gran parte non ha più fiducia in lui.
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