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LE AZIENDE VICENTINE FANNO GOLA. ANCHE AI FONDI DI INVESTIMENTO.

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Nel Nordest in quattro anni oltre 800 aziende sono state vendute o acquistate, hanno cambiato proprietà e qualche volta sono state acquisite da stranieri, per lo più da Fondi di investimento esteri.

Molto movimento anche nel Vicentino in questa prima parte dell’anno. Ogni due giorni un’industria viene venduta. Questo dato si presta a due considerazioni opposte.
La lettura più positiva e che ci può rendere orgogliosi, racconta di imprese ritenute interessanti, capaci anche in futuro di produrre reddito, dotate di buona tecnologia e ben posizionate nel marketing.
C’è anche una interpretazione più negativa, malinconica, preoccupante che ci rappresenta una imprenditoria (di seconda o terza generazione) che non ce la fa a raccogliere la sfida della globalizzazione, che non crede nei sacrifici dei padri o che ha troppo frazionato le quote e non riesce più a governare in modo razionale l’azienda. In questi casi si preferisce quindi fare cassa e magari utilizzare i proventi in nuove avventure finanziarie invece che industriali.

Nel giro di pochi giorni, tra giugno e luglio, in provincia di Vicenza si sono chiuse almeno altre 5 operazioni di diversa dimensione ma altamente simboliche del fenomeno M&A (fusioni ed acquisizioni). Da Montecchio Maggiore a Carrè, da Rossano Veneto a Fara passando per Gambellara, importanti aziende sono state vendute o hanno acquistato asset significativi.

Il gioco delle fusioni e delle acquisizioni è numeroso nella nostra provincia e sono un implicito riconoscimento della qualità delle imprese vicentine. Sono operazioni che a volte comportano ristrutturazioni dolorose, ma che presuppongono un rilancio delle attività, un aumento dei fatturati, un accrescimento del capitale umano, con professioni nuove che vengono inserite nei processi di produzione e di marketing. Complessivamente rappresentano processi positivi di crescita imprenditoriale. Anche quando sono i fondi ad acquisire, la logica va verso la valorizzazione delle imprese perché qui ci sono molte aziende che hanno tutte le carte in regola per diventare grandi. E sappiamo che la dimensione è uno dei fattori critici per competere.

C’è però il risvolto della medaglia, che deve almeno far pensare. Non dico preoccupare, ma far riflettere questo sì.
Prendiamo l’area industriale di Montecchio Maggiore. Nell’arco degli ultimi 20 anni sono passati a proprietà straniere e a Fondi di Investimento internazionali la Lowara (leader europea di pompe ad immersione), la Ceccato aria compressa, la Fiamm (leader europea di batterie e mondiale degli avvisatori acustici), la Fis (gigante dei principi attivi per l’industria farmaceutica). Al confine con la zona industriale di Montecchio, nel territorio di Arzignano la Marelli motori (storica azienda di motori e grandi motori elettrici) e a Montorso la Calpeda (importante azienda a livello mondiale di pompe).
Un capitolo a sé merita la Miteni, che sta a Trissino, anch’essa al confine con Montecchio. L’azienda specializzata in chimica è assunta alla notorietà mondiale dieci anni fa per la drammatica vicenda dei Pfas che, seppur iniziata con la proprietà locale, ha avuto la sua enfasi distruttiva con le proprietà internazionali subentrate negli anni.
Il perché è presto detto: le multinazionali, i Fondi di Investimento, le proprietà estere hanno un rapporto con il territorio pari a zero, rispondono solo ai dati del Bilancio. Se qui l’azienda dà un valore aggiunto importante ma una analoga azienda del gruppo in qualsiasi altra parte del mondo garantisce una redditività migliore anche di poche unità, le decisioni sono già scritte. Si chiude qui e si spostano brevetti, know how e produzione a migliaia di km di distanza. Con la buona pace di addetti, sindacati e sindaci che protestano.

Così è la vita del business senza faccia e senza anima.

Molto meglio dunque le Acquisizioni e gli Accorpamenti tra aziende con il capitale di riferimento che fa capo ad una azienda con un presidente dal volto conosciuto (e con un’anima si spera). Se poi all’interno della compagine trovano un importante ruolo finanziario Fondi e Investitori esteri, bene. L’importante che la guida rimanga strategicamente in mani locali. E per locali, intendo italiane.

La storia di impresa dagli anni ‘50 ad oggi racconta che nel Veneto c’è il detto secondo cui “una azienda funziona bene solo se ha un numero dispari di soci purché minore di due”. Il padrone unico (o unico “manico” come si usa chiosare), ha fatto sì che per 70 anni sia stata di gran lunga più praticata la scissione che la fusione tra aziende. Con ottimi risultati, a ben vedere. Oggi si registra una completa inversione di tendenza. Cambia la prospettiva, il “piccolo è bello” non funziona quasi più. Anche nel Vicentino ci si deve adeguare. Importante sarebbe che il capitale umano, almeno quello, mantenesse la sua importanza.

Maurizio Scalabrin

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