
CENTENARIO MONTECCHIO CALCIO. FRANCO AGOSTI PROTAGONISTA NEGLI ANNI SETTANTA.
Arriva nella società, di cui il padre Ovidio è Presidente, all’età di 14 anni e a 16 esordisce in Prima Squadra. L’allenatore lo fa giocare
A lui è stato intitolato lo stadio di via Pelosa o via del Vigo, a seconda che si indichi il campo di calcio o il Polisportivo nel suo insieme.
Era un ragazzetto che amava il calcio, che inseguiva i sogni di tanti negli anni appena precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale. Era coetaneo di un altro giocatore, il maestro Stefanello, e con lui o contro di lui avrà sicuramente giocato e sarà andato alla ricerca di una palla da scaraventare tra i pali di una porta improvvisata.
I sogni sono però improvvisamente interrotti dalla chiamata alle armi. Come ci racconta il figlio Giancarlo: ”Fu arruolato nel battaglione Bassano e nel ’42 era a Torino, dove aveva trovato la possibilità comunque di fare sport, giocare a calcio, la sua passione. Poi fu mandato in Montenegro e immaginate il dramma e la paura di mia mamma che se lo vide passare davanti con il treno. Ma anche lì non smise di giocare a calcio”.
La foto gentilmente fornita dalla famiglia lo ritrae durante una partita tra commilitoni nel ’42, un po’ come nel film Mediterraneo: si giocava a calcio per non pensare, per far passare il tempo in attesa di tornare a casa.
Nel ’43 è a Grenoble e anche lì gioca in una squadra organizzata, ma intanto è diventato anche papà. ”Io ho avuto la fortuna di partecipare al matrimonio dei miei genitori che si sono sposati subito dopo la fine della guerra. Erano tempi difficili e anche il matrimonio doveva aspettare.”
Ma il calcio no, non aspettava.
Gino trova occupazione presso la MAPA di Montecchio. Pietro Ceccato non fu soltanto il suo datore di lavoro, ma anche il suo procuratore calcistico. Fa quindi parte della prima formazione castellana. E’ un terzino veloce che può allenarsi perché Ceccato gli concede del tempo libero dal lavoro in fabbrica. In cambio Gino pensa a tener ordinato lo spogliatoio della nuova squadra, alle magliette, alle scarpe da lucidare.
“Sua moglie, mia madre, apriva la loro casa ai compagni di gioco che trascorrevano il dopo partita sempre a casa nostra. Ed è stato così per tanto tempo, anche quando mio padre ha smesso di giocare ed è diventato allenatore. Io e mia sorella eravamo presenti e partecipi, non abbiamo mai smesso di sostenere i colori biancorossi. Mia sorella nel Montecchio ha trovato marito, Mariano Ghiotto, io invece sono stato sconsigliato a dedicarmi al calcio. Inizialmente mi portava con lui, ma capì subito che non era il mio sport.”
Poi per Gino arriva il tempo di appendere le scarpette al chiodo, ma non di avere a che fare con il Montecchio Calcio, perché ne divenne l’allenatore. Per tutti gli anni sessanta scende in campo ogni domenica in panchina. E quando non allena la Prima Squadra pensa a far crescere giovani talenti. Sessantanove anni di dedizione e fedeltà ai colori bianco rossi. Custode della storia e del campo, tutto fare, ma anche consigliere, osservatore, punto di riferimento per i tanti ragazzi che stavano crescendo all’ombra dei castelli.
Ed è giusto quindi che lo stadio di Montecchio, trasferito da quel campo che lui di notte “sgualivava”, portando carriole di materiale edile recuperato dalle rovine dell’asilo Dolcetta, in via del Vigo, sia stato dedicato a lui.
Qui ha trascorso gli ultimi anni della sua esistenza. Per vedere le partite, seguire gli allenamenti, allenare lui stesso i più piccoli. E sempre all’insegna del fair play, mai una parola di troppo, mai uno screzio, sempre un sorriso e tanta comprensione, un vero gentleman.
“Mio padre era una persona buona, di quelle che si incontrano poche volte nella vita e te la cambiano.
Ha ricevuto riconoscimenti importanti, come la croce per meriti sportivi, ma certo l’intitolazione dello stadio è il più grande riconoscimento che si sarebbe potuto aspettare!”
Di uno stadio che poi diventa noto in tutta Italia, perché il primo senza reti protettive, nel rispetto di quella che era l’idea del calcio di Gino.
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