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UN PICCOLO NEGOZIO, UNA GRANDE STORIA

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Sui documenti ufficiali si legge che la tabaccheria di via Roma era la n. 4 del Paese e fu fondata nel 1935.
Per la cronaca, la numero uno era quella della famiglia Frigo in via Matteotti, concessa nel 1930, a seguire quella posta a fianco della Pizzeria Gabana. La numero 3, in base ai ricordi, era in zona Valle di fronte alla locanda Botella. La cosa interessante è che tutte queste tabaccherie in origine, oltre che la rivendita di tabacchi, sale, valori bollati e chinino di Stato, avevano all’interno un negozietto di alimentari.
Emanuela Cola, è stata titolare fino a due anni e mezzo fa della bottega posta in via Roma, la via principale di Montecchio, poco discosta dalla farmacia Cavazza Ceccato. Giunta all’età della pensione e non avendo chi continuasse sulla sua strada, ha venduto la licenza a Michela Nicoletti Golin, che ha ereditato anche la targa di Bottega Storica, ma la storia appartiene alla famiglia che dal 1935 ininterrottamente e per quasi novant’anni ha portato avanti un’attività fondamentale per la vita di Montecchio Maggiore.
Racconta Emanuela: “Per la verità il primo titolare fu un mio prozio, Senofonte Ada, probabilmente il cognome Adda è più corretto, ma tutti lo conoscevano come Seno Ada e fu lui che accolse il mio babbo e lo crebbe. Allora molte famiglie affidavano la crescita e l’educazione di un figlio ad un parente con più possibilità economiche. Così fu per mio padre Beniamino che ebbe in eredità la rivendita negli anni sessanta.”

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Il giovane conta tra i suoi parenti anche Monsignore Adda, fratello dello zio Senofonte, e ciò spiega l’attaccamento ai valori cattolici del giovane la cui bottega è sovrastata da un capitello con l’effige della Madonna. E c’è un episodio che va raccontato, emblematico della devozione della famiglia.

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La famiglia al completo con Monsignor Adda. Sulla sinistra Gina e Beniamino col figlio Roberto. A destra zio Senofonte.

“Mio padre è stato quattro anni in campo di concentramento. Tornò che era provato nel fisico e nello spirito. Ma comunque era tornato e si doveva riprendere in mano la vita. Così si sposò quasi subito con la sua Gina e prese in mano la bottega. Ma la sua salute era alquanto precaria. Finì in ospedale a Negrar dove viveva anche lo zio Monsignore, molto legato a Don Giovanni Calabria. E fu proprio questo sacerdote, diventato beato nel 1988, che fu di conforto a Gina e la esortò a pregare per il marito. Le sue condizioni, però, stavano peggiorando e così lo zio Senofonte vendette due campi in quel di Alte Ceccato per poter acquistare della penicillina negli Stati Uniti. Si trattava del primo antibiotico, di cui l’ospedale comunque non disponeva.

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Papà Beniamino con mamma Gina

Ma quando il prodotto arrivò e Gina lo portò ai medici, fu accolta da una suora che le comunicò che il marito era improvvisamente guarito. Furono le preghiere della famiglia, fu l’atto d’amore dello zio Senofonte, comunque sia sembrava fosse accaduto un miracolo!”

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Di sicuro fu miracoloso per altri malati l’antibiotico americano americano che Gina donò all’ospedale.
Il ricordo che Emanuela ha del padre è ancora molto vivido. “Era un eclettico, appassionato di cose belle, di arte, di pittura. Era un collezionista di prim’ordine. Ora sto sistemando l’appartamento che fu di mia madre e devo dire che trovo di tutto, anche pezzi d’arte, di antiquariato… Ma la cosa più bella è la raccolta di cartoline postali che lui ha collezionato. Sono le vedute di Montecchio, quelle che si spedivano ad amici, parenti e fidanzati. Si va delle più antiche a quelle più recenti a colori. Sono pezzi di storia che amo guardare e riguardare, ora che le foto di un luogo arrivano rapidamente tramite il telefonino”.

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Cartoline in bianconero da Montecchio
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Cartoline a colori da Montecchio

Negli anni cinquanta il negozio cessa di essere salumeria, resta tabaccheria, ma con la licenza per vendere oggettistica, quaderni, album, penne, matite e libri di testo. Ma soprattutto la bottega rimane un punto di riferimento, un luogo dove i compaesani amavano entrare e chiacchierare, raccontarsi e raccontare.

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Emanuela Cola con Mimmo

A tal proposito il marito di Emanuela, Nicola Mimmo, ci tiene ad aggiungere: ”I miei suoceri erano persone molto generose. Hanno sempre cercato di aiutare chi era in difficoltà. E c’è un episodio che è bene non dimenticare. Una signora di origine montecchiana, residente a Parigi, tornata per una visita in città, venne a ringraziare per il prestito che Beniamino le aveva fatto anni prima. Senza quei soldi non avrebbe potuto partire e fare fortuna. Molti altri poterono beneficiare della sua generosità: abbiamo trovato un quadernetto pieno di nomi di persone cui aveva fatto prestiti mai riscossi.”
Giusto per capire la grande disponibilità verso gli altri, Emanuela ci ricorda che da Sant’Urbano e Santissima Trinità ogni mattina arrivava la corriera con i ragazzi che frequentavano la scuola media. Arrivavano molto presto e i suoi genitori li accoglievano in negozio perché stessero al caldo.
“Sono sempre stata in bottega, anche quando ancora studiavo. Da bambina ricordo che preparavo i sacchettini con le sigarette sfuse. Venti lire per due sigarette! Ma certi ragazzi pagavano in altro modo, diciamo in natura. Rubavano le uova nel pollaio e le barattavano in cicche. Qualche volta arrivavano le loro madri preoccupate che i figlioli avessero preso a fumare, perché scomparivano le uova. Mia madre era solita accettare in cambio del sale, i prodotti degli orti: allora non circolava tanta moneta e ci sia aiutava come si poteva.”
Alla morte del padre la bottega passò al fratello Roberto che purtroppo morì prematuramente e all’improvviso. Così il compito di portare avanti l’attività toccò a lei che lo fece insieme alla mamma.

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Mamma Gina con Emanuela

“Mia mamma è stata in negozio fino all’età di novantatré anni. Sempre disponibile nei confronti degli avventori, attenta e pronta anche alle novità. Io invece amavo curare le vetrine e mi divertivo a creare allestimenti sempre nuovi per le feste di Natale, Pasqua, per la festa del papà e della mamma. Un modo per attirare clienti che trovavano sempre qualcosa di nuovo. Ricordo uno stock di piccoli presepi acquistati tramite frati missionari. Piacquero così tanto che li finii in un attimo. Qualche volta in vetrina ho messo anche oggetti d’arte, trovati in casa e anche quadri di mio padre, un vero artista. O la bicicletta a tre ruote, munita di un grande cesto davanti con la scritta tabaccheria con la quale andava a Vicenza a fare rifornimento di sigarette e sale”.

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La mitica bici a tre ruote

Tornando alla storia, durante la guerra i tedeschi di stanza in Villa Cordellina, passavano spesso in bottega. “Mia nonna preparava lo strudel e loro, in cambio, lasciavano cioccolata e zucchero. Lo zio Senofonte stava per essere portato via in camion e uno dei tedeschi che venivano in negozio, ha fatto in modo che ritornasse a casa, altrimenti sarebbe finito in un campo di concentramento. Poi dopo la guerra, dietro il negozio si aprì uno spazio che fu utilizzato da Pietro Ceccato per la sua scuola di avviamento al lavoro, il CAPI e ancora oggi ci sono persone che chiedono di vederlo ricordando addirittura la collocazione dei torni. Qualcuno mi ha portato anche le foto…”
Come per tutte le vecchie botteghe, anche quella di Emanuela ha risentito molto dell’avvento dei grandi centri commerciali, dove trovi di tutto, ma non le sigarette, tanto vituperate perché dannose, ma anche tanto richieste, nonostante gli avvertimenti dei danni alla salute.
Ma ciò che ha cambiato enormemente la vita di una tabaccheria è stato l’avvento delle lotterie più svariate e dei Gratta e Vinci. Il vecchio Lotto è diventato anche Superenalotto e Dieci e Lotto.
”Di fatto la tabaccheria oggi vive soprattutto grazie ai giochi, ma per me era diventato estenuante, specie con l’avvento delle estrazioni on line ad ogni ora del giorno e con le persone che si accaparravano la postazione in attesa di ripuntare. E non era una clientela socievole e ben disposta. Tutta concentrata sui numeri a volte anche arrabbiata. Per fortuna, a suo tempo, abbiamo rifiutato le slot machine…”
Quella che fu la bottega della famiglia Cola è sicuramente un esempio di come l’attività commerciale sia legata all’evolversi della società. Il negozio ha seguito le fasi di sviluppo del paese, diventato poi città. Dal rifornire di sali e tabacchi e il chinino di Stato, è diventato cartolibreria, rivendita di giocattoli, proprio per seguire le diverse esigenze che si venivano affermando. Fino all’arrivo dei centri commerciali che hanno cambiato l’idea di bottega. Così non c’è più spazio per le cartoline, per la carta da lettere, i pennini e le penne stilografiche. Ma il sale quello no! Il sale del tabaccaio c’è ancora ed è il più buono! Perché proviene dalle saline di mare e non dalle miniere. Sale iodato degli stabilimenti Margherita di savoia, il più buono! Parola di ex tabaccaia!

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