La scorsa settimana camminavo per le strade di Alte Ceccato: la solita passeggiata mattutina con il cane per prendere il giornale. Le belle abitudini di chi vive la giusta condizione di pensionato.
Mi viene incontro un ragazzino, particolarmente contento e sorridente. Mi colpisce il fatto che sventola un foglio da disegno con impresso il ritratto di un uomo con turbante. Anche se da lontano, sembra di buona fattura e mi ha fatto ricordare un altro disegno, di un bimbo bengalese che qualche anno fa ha suonato alla mia porta per vendere il suo capolavoro, il ritratto di un cane molto simile al mio. Il ragazzo mi incuriosisce e quindi gli faccio i complimenti per il bel disegno e lui: “Ho appena finito gli orali dell’esame di Terza Media.” “Quindi questo è il tuo lavoro per Educazione Artistica? Chi rappresenta?”
E lui: ”E’ il mio Dio!”
Considerando che Allah non si può rappresentare, deduco che il ragazzino sia indiano e quindi quel volto tratteggiato a matita sia l’immagine di un’altra divinità.
E lui subito precisa: ”E’ un Dio molto famoso!” Poi aggiunge orgoglioso di essere Sikh e in effetti la comunità indiana è numerosa a Montecchio Maggiore. Torno a casa sorridendo tra me e me. Questi ragazzi, figli dei social, coniugano importanza con fama. Dio nella lora semplicità linguistica è famoso. Non saprei come i nostri ragazzi definirebbero il loro Dio, forse non ci pensano neppure. Per il giovane Sikh, che aveva appena concluso l’esame che potrebbe attestare il diritto ad essere a tutti gli effetti Italiano se fosse riconosciuto lo Ius Scholae, Dio è famoso, ma anche buono e giusto.
Nelle stesse ore a Latina si consumava il dramma di un giovane Sikh, con una storia ben diversa: lavoratore clandestino, con il sogno di regolarizzare la sua condizione lavorando, faticando fino allo sfinimento nei campi dell’Agro Pontino.
Prima o poi ce l’avrebbe fatta come tanti fra la sua gente che, arrivati in Italia sui barconi, hanno trovato chi ha dato loro lavoro, sono stati regolarizzati e ora hanno la casa, la famiglia ricongiunta e la possibilità di offrire un futuro ai propri figli.
Non sarà così per Natman Singh, morto dissanguato a seguito di un incidente nei campi di meloni. Il braccio tranciato dal macchinario usato per la raccolta. Nessun soccorso immediato da parte dei responsabili dell’azienda agricola, che pensano invece a sbarazzarsi del problema il prima possibile. E così viene abbandonato insieme al suo braccio davanti alla sua povera dimora. Se lo si portava in ospedale subito si sarebbe salvato, ma non era possibile perché lui era un clandestino, uno dei tanti irregolari sfruttati nelle nostre campagne e pertanto invisibile.
“Caro giovane ragazzo dagli occhi pieni di speranza, hai saputo della triste sorte del tuo connazionale? Cosa pensi di quanti tra la tua gente, e sono tanti, sono sfruttati e maltrattati? Ti auguro un futuro sereno, di realizzare ogni tuo sogno. Di vivere in pace e nella giustizia, come vuole il tuo Dio famoso. Non gli uomini purtroppo!”