Luciano Chilese e si pensa alla scuola, in particolare alla Pascoli, quella del Tempo Pieno, di cui è stato a lungo il Preside; si pensa al suo impegno politico: è stato Assessore nell’Amministrazione Scalabrin.
Si pensa soprattutto all’uomo di cultura, allo storico, che ha ripercorso i drammatici momenti della guerra di Resistenza a Montecchio. Ma è tanto altro.
Intanto, partendo dalle sue origini, si deve ricordare che lui è di San Pietro, anche se ai tempi della sua gioventù, la zona dove è nato si chiamava Costo. E lui ci racconta che è nato in una stanzetta della mansarda della bella abitazione lungo via Circonvallazione di Elda Sommaggio, segretaria/cassiera di Pietro Ceccato.
La mamma, di origine trevigiana, vi trova alloggio in attesa che il marito torni dalla guerra. Invece arriva un telegramma che annuncia la sua morte. Non ha più senso per lei restare a Montecchio, dato che è sola con un bimbo di 8 mesi. Decide di tornare in quel di Castelfranco e lì vi sta finché non si risposa. La vita fa strani giri, come pure l’amore: sposa infatti il fratello del padre di Luciano, dal quale ha subito dopo una figlia.
“Facevo la quarta elementare e ho un ricordo vivido delle ‘sgalmarette’ che la mamma mi aveva regalato. Erano bellissime, ma troppo rumorose: il ticchettio delle mie calzature, molto usate in quel di Castelfranco, sulle ‘viane’ dei marciapiedi di Montecchio facevano troppo rumore, tutti mi guardavano e io pensavo che mi prendessero in giro. Così ebbi subito gli scarponcini come gli altri. Il quartiere era pieno di bimbi, giocavamo tanto. Ricordo soprattutto il ‘ciapa scapa’ o nascondino nei campi davanti casa, dove sorgevano dei pagliai che costituivano i nostri nascondigli. Seguirono gli studi in collegio dai Giuseppini e, siccome ero orfano di guerra, potei partecipare ai campi estivi in montagna a San Ulderico di Tretto: lì è nata la mia passione per la montagna. Quando vivevo a Castelfranco, invece, mi mandavano al mare in colonia, a Jesolo, ma piangevo sempre, soprattutto quando, la domenica, arrivavano i parenti in visita, non i miei che facevano fatica a viaggiare. Rivivo ancora la gioia che provai quando vidi lo zio arrivare in bici da Castelfranco, un’afosa domenica di agosto”.
Il nostro continua con il ginnasio e il classico sempre ai Giuseppini, in seminario.
Ma la vocazione non arriva, mentre si fa sempre più forte la passione per la montagna: ”Ho fatto la Marmolada con la veste! Non proprio l’abbigliamento più adatto!”
Conclude gli studi superiori alle Magistrali di Vicenza e si iscrive a Materie Letterarie a Padova. Si laurea nel 1970, ma inizia ad insegnare anche prima, perché allora la scuola aveva bisogno di insegnanti e bastava essere iscritto all’università per avere un posto come supplente. “Il mio primo incarico fu a Valdagno e lì insegnavo in una scuola che sperimentava il tempo pieno. E proprio per questo fui chiamato due anni dopo alla Pascoli a Montecchio, dove l’allora preside Luciano Bernardelle voleva sperimentare la nuova organizzazione del tempo scuola”.
Così inizia anche la sua passione per la didattica che va a coniugarsi con gli studi storici.
“Il mio interesse per la storia viene dalle lezioni del professore che è stato poi anche mio relatore alla tesi, Angelo Ventura. Forse lo si ricorda perché fu gambizzato nel 1979 dai terroristi di Autonomia Operaia.
Feci una tesi su “Movimento Operaio e Socialismo nel Vicentino dalle origini fino agli inizi del ’900”.
All’università affrontai un’ idea di storia che andava oltre il concetto di flusso di avvenimenti. Feci mia la teoria dello studio di ambiente di Arnould Clausse e così capii l’importanza di superare la rigida scansione cronologica dalle origini all’età contemporanea. Si poteva insegnare la storia ai ragazzi partendo dal loro vissuto, dalle loro vicende familiari, dal paese per arrivare poi alle vicende ufficiali”.
Nel frattempo comincia a frequentare l’archivio storico di Montecchio Maggiore.
“Fin da subito capii che l’archivio di Montecchio era ricchissimo e offriva molte possibilità di studio per uno studioso. Il merito va tutto riconosciuto a Maurizio Ceccato, notaio, membro della famiglia che diede i natali a Silvio, e che nel 1641 aveva sistemato tutte le pergamene in esso conservate, ma che soprattutto gli diede l’impronta di un rigido ordine. Mi copiai tutto il catasto austriaco dal 1850 in carta lucida su quaranta cartelle e su questo impostai poi in classe il mio lavoro d’ambiente. I ragazzi, collegando gli avvenimenti al contesto e all’economia, studiarono Montecchio come era.
Più tardi arrivò la ricerca più importante su commissione del sindaco Corà che mi affidò il compito di ricostruire la storia di Montecchio dal 1919 al 1945. Consultai quintali di cartelle, ogni cartella pesa intorno ai 5 Kg, e lavorai insieme al collega della classe parallela, Gian Carlo Zorzanello, anche lui storico e insieme cominciammo a catalogare.
Riuscimmo a coinvolgere un gruppo di quaranta persone, gli stessi ragazzi ci aiutarono e alla fine ci fu l’inaugurazione con la presenza dell’allora presidente del Consiglio Mariano Rumor.
Tutta la mostra fu fotocopiata e conservata nella sede dell’Anpi in 30 raccoglitori. Ma più importante è stata l’operazione di un altro storico, Giorgio Fin, che ha provveduto, nel 2023, alla sua digitalizzazione.
In occasione della mostra ebbi una grossa soddisfazione. Avevo redatto una tavola con la lettera di Giuseppe Corà al suo parroco, Don Bortolo Gasparotto. La mostrai alla sua mamma che si fece portare una sedia e per un’ora e mezzo si fermò a leggere e rileggere la lettera del figlio morto l’8 settembre del ’44, durante un’operazione contro la divisione nazifascista Tagliamento a San Vito di Leguzzano”.
In quello stesso periodo Chilese, insieme a Zorzanello, redige un saggio ciclostilato su Disoccupazione Indigenza e Fame al tempo del fascismo, utilizzando le lettere che i Montecchiani mandavano a Rachele e Benito Mussolini, sempre seguendo la strada che la storia la si fa anche utilizzando questi documenti. Come pure la si fa studiando la toponomastica di un paese o di una città.
E dalla toponomastica arriva la sua prima pubblicazione ufficiale.
“Mi rivolsi al dipartimento di Glottologia, il cui preside era il prof. Gianbattista Pellegrini che accettò che io frequentassi il grande salone che raccoglieva tutte le opere di toponomastica, anzi mi affiancò una sua assistente che mi aiutò nel percorso legato alla origine dei termini che indicavano i luoghi di Montecchio Maggiore. Andai, come dire, a lavare i panni in Bacchiglione, ma realizzai quell’idea che storia è anche il nome di un posto, la sua origine, il perché di quel nome.”
Nel frattempo Luciano incontra la moglie Annamaria Lucantoni, come lui docente e, come lui, vincitrice del concorso ordinario a Preside. Così la SMS Pascoli diventa la sua scuola, una scuola che fa della sperimentazione un vanto. Ma è proprio la modalità di affrontare la storia in classe che offre al nostro tante storie, tanti documenti che entrano nei suoi lavori, soprattutto nell’ultimo il più importante: “Montecchio Maggiore 1943- 1945”.
“Già negli anni ’70 con il mio amico e compagno di ricerca eravamo riusciti a farci dare dall’Anpi di Valdagno i nomi dei partigiani della zona. Così Zorzanello poté ricostruire poi tutte le vicende della Brigata Stella.
Io, invece, fui chiamato da Lucia Muraro che mi fece consultare il grande archivio lasciato dal padre che era stato Presidente del Comitato di Liberazione di Montecchio. Fu la scintilla che mi portò al gran lavoro, conclusosi nel 2024 con la pubblicazione del libro.”
Nel libro, grazie all’opera di minuziosa raccolta di informazioni con modalità diverse, ma soprattutto grazie ad interviste ai protagonisti, fin dagli anni ’70, grazie alle informazioni che arrivavano anche dai suoi studenti, si rende l’onore della storia a una variegata umanità, protagonista della Resistenza a Montecchio. Tanti Montecchiani si ritrovano nelle oltre 700 pagine, perché vi ritrovano il nome del nonno, di uno zio, di una nonna, di una zia. Personaggi illustri, passati alla storia, ricordati dai libri di storia, ma anche giovani che semplicemente avevano scelto di battersi per la libertà. “Giovani studenti universitari, cresciuti intorno alla parrocchia di San Pietro di don Dal Cortivo, animatore coinvolgente, antifascista che copriva e aiutava i ragazzi che cercavano di evitare di arruolarsi nell’esercito della Repubblica di Salò”.
La presentazione del libro è segnata da un’ intensa partecipazione della cittadinanza, riconoscente al suo storico che è stato, oltre che Presidente dell’Anpi, anche amministratore della città con il sindaco Scalabrin. Nel 2004 entra infatti in Giunta come assessore all’Istruzione e al Patrimonio.
Offre così alla città momenti molto importanti e significativi, come la restituzione alla comunità di significativi lavori del pittore Willi Sitte, l’artista tedesco, vicino alla Resistenza, che lasciò nell’attuale sede del Municipio importanti dipinti a carboncino e gesso eseguiti durante il periodo in cui vi operava come soldato della Wehrmacht.
Nel periodo del suo assessorato punta inoltre alla riorganizzazione dell’archivio storico e all’assunzione stabile di un archivista, in modo che sia aperta a tutti la consultazione di un grande patrimonio storico e culturale.
A Luciano Chilese si deve la completa revisione della numerazione civica delle abitazioni e un aggiornamento della carta dei sentieri di Montecchio che, sempre con lui, sono stati puliti, ritracciati e sistemati insieme con il Gruppo dei Trodi. Ma da parte sua anche molta attenzione allo sviluppo della rete ciclo pedonabile e il sostegno alla realizzazione del Bosco di Pianura in zona Cordellina.
Ma c’è un altro aspetto della vita del nostro storico che non può non essere ricordato.
La sua passione per la montagna, coltivata fin dai tempi del seminario, con tante ferrate e scalate sulle Dolomiti che ha cominciato a raggiungere anche in autonomia con la sua Fiat Cinquecento.
Ha la tessera del CAI da 61 anni, frequenta corsi di arrampicata, organizza e affronta veri e propri trekking in Pakistan nel 1997, nel 2000 e nel 2004 con gli amici appassionati di Montecchio, ma anche con i suoi figli che porta in montagna fin da bambini.
Con il primogenito Giuseppe va in Pakistan nel 2004. Mentre il più giovane diventa uno dei più esperti climbers di Italia.
“Partivo solo se avevo il permesso di mia moglie e dopo un periodo di attenta preparazione sia dal punto di vista organizzativo che fisico. Non svolgevo chissà quali allenamenti ad alta quota, ma camminavo molto tutti i giorni, su e giù per i nostri colli”.
Le ultime spedizioni che gli restano nel cuore nel 2007 in Nepal, quando raggiunge il campo base dell’Everest e nel 2010 intorno all’Annapurna.
Superata la soglia degli ottant’anni il nostro, che sogna un’altra spedizione, continua la sua ricerca storica con un lavoro dedicato al Capi di Don Smittarello, la scuola voluta da Pietro Ceccato e che ha formato tanti giovani operai, ora affermati imprenditori.