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RENZO PAGLIARUSCO. LO SGUARDO DELL’ARTISTA SU MONTECCHIO

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Renzo Pagliarusco non è nato a Montecchio. Eppure è Montecchiano fin nel più profondo e la sua storia si fonde con le vicende che hanno trasformato la città castellana nel dopoguerra, con l’arrivo di tanti migranti dai paesi vicini e questo grazie a Pietro Ceccato e al suo sogno di fondare una comunità intorno alla sua fabbrica ad Alte di Montecchio Maggiore.
“Sono arrivato ad Alte all’età di 4 anni, quando mio padre riuscì a costruire la nostra casa in via Marconi. Noi siamo originari di Toara dove eravamo fittavoli nelle terre del conte di Villaga. Ma la famiglia era cresciuta e c’era bisogno di qualcosa di più di quello che la terra ci offriva. Così papà partiva la domenica sera, in bicicletta raggiungeva Alte Ceccato dove si cominciava a costruire e c’era bisogno di muratori. Dopo una settimana di lavoro, tornava il sabato, sempre in bicicletta. Fintanto che, in accordo con il fratello, decise di realizzare la nostra abitazione vicino alle case popolari Fanfani in via Marconi. Arrivammo ad Alte. La Alte di Pietro Ceccato che metteva a disposizione della comunità gli spazi della scuola del Capi dove, durante il giorno, funzionava la scuola materna e poi quella elementare”.

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Lì il nostro ebbe il suo primo incontro con l’arte. Amava disegnare, lo faceva ovunque, anche sulla carta dei ‘casolini’, quella color paglia o azzurra dove si avvolgevano zucchero, farina, pane… Ma fu la maestra Rita Vezzaro Paolini ad avviarlo al colore. Vedendo la bravura del bambino si diede da fare per procurargli dei colori: “Erano dei tubetti ad olio, accompagnati da una tavolozza che ancora conservo. Mi è molto cara, come è molto forte e riconoscente il ricordo della maestra che ha visto in me delle possibilità. Ancora oggi la vado a salutare in cimitero”. 
Sono quattro i fratelli di Renzo e tutti hanno vissuto il nascere della comunità di Alte. Il fratello più grande ha frequentato il Capi ed è diventato un tornitore specializzato che ha sfruttato le abilità in Germania. Il secondo e il terzo fratello sono diventati “Casolini”, uno ad Alte nel negozio Dal Ben, il terzo a Campedello.
Di quel periodo porta con sé il ricordo del funerale di Pietro Ceccato: “Ero stao scelto, insieme a Ennio Barban, per leggere una poesia. Il microfono era troppo alto, così ci misero sopra una specie di sgabello. La cosa impressionò molto perché la figlia di Ceccato, anni dopo, in occasione dell’inaugurazione del monumento al padre in Piazza San Paolo, si ricordava di noi bambini tutti con un garofano rosso in mano”.
Renzo era un ragazzo promettente così lo zio convinse il papà a pensare di farlo studiare. Ma questo era possibile solo se si trovava un luogo dove avere un aiuto e un alloggio. Grazie allo zio, Renzo trovò accoglienza in uno studentato di Verona e lì frequentò le scuole medie e poi due anni di Ginnasio.
Purtroppo le esigenze di famiglia chiamarono e lui ritornò a casa e dovette trovarsi un lavoro. Lo cercò nell’ambito di quello che amava fare, disegnare.
“Era il periodo in cui la ceramica andava molto. Mi presentai in una ditta di Tavernelle, la VIC che, dopo avermi messo alla prova, mi assunse immediatamente.  Spesso, dopo il lavoro recuperavo gli scarti che uscivano dal  forno, mi mettevo in un angolino e disegnavo, provavo e riprovavo a decorare. Per caso, il proprietario mi notò e subito mi affidò una postazione di lavoro tutta mia. In più ero conteso e tentato in continuazione dal proprietario dell’ArteNova che tutti chiamavano il Toscanaccio. Non mi lasciò molto tempo per scegliere, mi prese con sé e mi permise di sbizzarrirmi nell’arte della decorazione di piatti, vasi e oggetti vari, per i quali si sperimentava sui colori e sugli effetti di luce da imprimere sull’oggetto”. 

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Intanto cresceva anche la sua passione per la pittura. A diciassette anni realizzò la sua prima natura morta. Si tratta di una tela molto speciale perché costruita con un telaio fatto dal padre e da una parte di lenzuolo di canapa filato dalla mamma, trattato poi con la colla.
Questo dipinto è parte del grandissimo patrimonio di arte e bellezza che Renzo conserva nella sua casa, non più ad Alte, ma a Montecchio, un vero atelier che lui ha costruito, abbellito arricchito di esperienze e ricordi insieme alla moglie, che non ama dipingere, ama leggere, ma soprattutto lo accompagna in giro per il mondo, sia che si tratti di scoprire luoghi lontani che di esplorare un sentiero dietro casa. “Lei sa cogliere i particolari e richiama la mia attenzione. Prendo nota, immagazzino l’esperienza visiva. Ritorno poi sul luogo, lo fotografo nella mente e poi decido se trasformarlo in un quadro.  Dipingo molto anche direttamente sul posto. L’esperienza plein air la vivo soprattutto all’estero. In particolare in Francia, dove ho trascorso molte vacanze sulla scia dei grandi pittori impressionisti che avevo studiato da autodidatta. Lavoravo come ceramista, studiavo e sperimentavo finché, nel 1972, entrai nella ‘Soffitta’ del pittore Otello De Maria. Si andava il sabato pomeriggio e la domenica mattina e si dipingeva, ci si metteva alla prova.”

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Nature morte, paesaggi, figurato con modelle, l’esperienza artistica di Renzo è tutta raccolta nel suo studio luminoso, che guarda verso la campagna montecchiana.

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Quadri appesi alle pareti. In fila i paesaggi montecchiani, da un’altra parte immagini di Venezia, Vicenza, tutte riproduzioni dominate da un uso sapiente del colore che fa sì che non si possano definire lavori impressionistici, ma come afferma lui, realistici, con tocchi che virano verso l’espressionismo cioè verso un’interpretazione più intima, più personale dell’esperienza che sta alla base della realizzazione.  

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Pittore ed artigiano al contempo, Renzo cerca anche la cornice più adatta ad ogni opera e se non la trova, la realizza o la restaura. Gira per i mercatini, recupera pezzi e li conserva insieme agli attrezzi del mestiere.  Tutto è perfettamente in ordine nel suo atelier, a partire dalle matite che ripone ordinate per caratteristiche delle punte. Poi i pennelli pure questi allineati per grandezza, per caratteristiche delle setole. E infine la tavolozza che deve essere tenuta pulita e splendente. “Finito un lavoro recupero il colore rimasto sulla tavolozza e lo spalmo su quelle che saranno nuove tele. Le diverse tonalità di colore che stendo saranno la base di un nuovo lavoro sul quale lavorerò con una traccia pennello e un po’ di ombreggiatura. Faccio così da sempre e in questo modo riesco a creare nuovi effetti di luce, perché è sempre una questione di colore!”
Negli anni ottanta il mondo della ceramica entrò in crisi. Tante botteghe chiusero, rimase la produzione industriale per la quale non c’era bisogno di artisti che sapessero realizzare splendide composizioni floreali, nature morte. Così il nostro decise di specializzarsi e studiare. Diventò maestro serigrafo e intanto lavorava in questo ambito, realizzando loghi e disegni da utilizzare anche sulle felpe. Lavorò per la Ferappi e si specializzò anche nella realizzazione delle copertine dei libri Mondadori. 
Nell’aria però qualcosa di nuovo si muoveva. Su consiglio del dott. Giampietro Zanovello, fondò con un gruppo di amici un cenacolo di pittura, dove, chi lo desiderava poteva mettersi alla prova, confrontarsi, acquisire tecniche di pittura.
Attualmente sono una ventina gli allievi. Una specie di bottega, come quelle fiorentine o veneziane, dove si prova, si discute, ci si confronta, si applicano nuove tecniche, si realizza. 
Renzo ha nel cuore il principio della condivisione e ricorda la sua filosofia di vita: “Se io ho un Euro e lo do a te, io divento più povero e tu più ricco, ma se io ho un pensiero, esprimo un’emozione e la condivido con te siamo più ricchi entrambi!”

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Così dunque ha sempre fatto! E così fa quando, orgoglioso, mostra i suoi ultimi lavori, quelli di ispirazione più religiosa.

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Su tutti spicca il quadro della madonna con Bambino che il prof. Menato definisce il più bello della sua produzione.
Nel realizzarlo si è ispirato ad un verso del Cantico dei Cantici, “Nigra sum, sed formosa”, che sta alla base dell’immagine della Madonna Nera. Tuttavia quella di Renzo è una fanciulla dalla bellezza quasi prorompente e dalla pelle ambrata. Porta in braccio un bimbo dai riccioli d’oro, per la cronaca il nipote di Renzo.

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Anche la Deposizione di Cristo, un imponente dipinto ancora sul cavalletto che gli fu donato dal maestro De Maria, esprime questa nuova esperienza pittorica, ma soprattutto rivela un forte contrasto interiore vissuto dal pittore nel rapporto tra fede e vita reale. Contrasto molto evidente in un altro dipinto che merita di essere ammirato, una crocifissione su cornice nera con ai piedi della croce il clero distinto in regolare e secolare, ma soprattutto la gente, spettatori moderni della morte di Cristo.  E’ evidente in questi quadri l’influenza di quello che lui definisce la sua guida, ossia il pittore bosniaco Safet Zec che, è sfuggito alla Guerra dei Balcani, ha trovato rifugio a Venezia. Potenti e di grande attualità i dipinti che rappresentano il personale grido di dolore contro la guerra e che diventano occasione di incontro, di scambio, di condivisione, proprio come nello spirito del nostro Renzo.

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Vale la pena poi, entrando nello studio di Pagliarusco, di fermarsi ad ammirare anche i piatti in ceramica da lui decorati, uno spettacolo di colori e armonia. E’ stato il suo lavoro quando era giovane. Magari inconsciamente realizzava quelli che in storia dell’arte chiamano ‘Capricci’, composizioni frutto della fantasia dell’autore, nel tempo diventate interessanti Nature Morte, non una semplice ripresa di una realtà inanimata fatta di frutta, fiori, oggetti, ma l’espressione di un’emozione visiva, costruita proprio per dare voce all’anima.

Tante anime dunque nella pittura di Pagliarusco, il pittore di Montecchio Maggiore, dall’animo gentile, aperto.
Fiero delle sue origini, del suo cammino, delle sue esperienze da autodidatta, dei suoi viaggi e delle persone che hanno camminato con lui. Come Giancarlo Giani, il direttore della biblioteca di Montecchio che lo ha portato a Passau e ha organizzato per lui una mostra di grande successo.

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Entrare nel suo studio nella sua casa è un’esperienza visiva ed emozionale unica. Non ci sono solo le tavole dipinte con paesaggi castellani, vicentini o veneziani, c’è la Francia dei suoi maestri impressionisti, c’è una serie di oggetti e cornici che ha restaurato, oggettistica trovata nei mercatini, ma anche mobilio che è appartenuto al passato e che diventa, con l’aiuto della moglie, che ne cura la disposizione, esperienza unica di bellezza e grazia.

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Speriamo, e se lo augura anche Renzo, che sia ancora possibile godere di tutto questo in un luogo adatto.
“La pittura  non può essere esposta nei sottoscala. C’è bisogno di spazi ampli come poteva essere la barchessa lungo la Montorsina che è stata abbattuta per far spazio ad una nuova costruzione in cemento. Al di là di tutto mi dispiace sempre tanto quando si abbattono opere che hanno resistito al tempo e che raccontano la nostra storia, visto che era stata la prima fabbrica di Ceccato!”

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Due tondi con il ritratto della moglie e un autoritratto
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