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Dai rilievi effettuati dall’Arpav nel sito inquinato di Trissino emerge chiaramente che i livelli di sostanze perfluoroalchiliche hanno superato più volte, nel periodo da luglio a dicembre 2023, i limiti imposti dalla legge per le falde.
Il caso Miteni che ha allarmato il Vicentino, scuotendo le coscienze e ponendo la comunità di fronte ad una violazione di diritti fondamentali di enormi proporzioni, non sembra essere archiviato con la chiusura dell’azienda e con la dismissione degli impianti dal sito di Trissino.
L’acronimo Pfas, per molto tempo sconosciuto ai più, sembra essere destinato a permanere nel vocabolario della comunità vicentina.
Ancora tanti i dubbi che investono la vicenda. Degli impianti dismessi si sa solo che sono stati ceduti ad un’azienda indiana. Che ne sarà di loro? Ipotizzare il loro reimpiego in altri paesi non è per nulla azzardato.
La bonifica del sito non è ancora iniziata, gli unici interventi hanno riguardato la messa in sicurezza attraverso barriere idrauliche eppure i dati dell’Arpav confermano l’inidoneità di tali misure.
La triste realtà è che la minaccia dei Pfas è tutt’altro che scongiurata. Dall’inquinamento delle acque alla salute nei luoghi di lavoro, l’inquinamento da Pfas desta preoccupazione.
Peraltro, una nuova allerta giunge dalla zona del Bassanese. Ancora una volta i dati rilevati dall’Arpav non sono incoraggianti. Criticità per l’alta presenza di Pfas in un pozzo interno alla discarica di Pascolara ed ancora valori di Pfoa piuttosto alti in una sorgente esterna che non sembra connessa con la prima. Ciò induce a ritenere che queste sostanze provengano da una fonte emissiva diversa.
La minaccia è tutt’ora attuale e a ciò si aggiunge, oltre alla preoccupazione, la rabbia per le omissioni, le verità taciute naturale substrato della logica del profitto.
Anche le vicende processuali, dopo un primo eclatante impatto mediatico, procedono a rilento con i noti tempi della giustizia italiana.
Il 18 aprile si è tenuta l’udienza presso la Corte di Assise di Vicenza per il processo relativo all’inquinamento da Pfas. Il processo è pendente dall’ottobre 2019 e, la fase dibattimentale, tutt’ora in corso, è iniziata il primo luglio 2021. Le udienze istruttorie sono state circa una settantina sino ad oggi. I capi di imputazione sono avvelenamento delle acque, disastro ambientale, inquinamento delle acque e immissione di rifiuti pericolosi nelle acque.
Gli imputati sono tredici suddivisi in gruppi che possono essere ricondotti al gruppo Mitsubishi, al gruppo ICIG e ai vertici aziendali della Miteni, fallita nel 2018. Forse la sentenza vedrà la luce tra fine 2024 ed inizi 2025.
La platea delle parti civili è numerosa e variegata: si va dagli enti pubblici ad associazioni, dai gestori delle reti idriche per la distribuzione delle acque potabili nelle zone interessate ai singoli cittadini danneggiati e che presentano tassi di Pfas anomali nel sangue. Tra le parti civili costituite in giudizio anche la Cgil che attraverso le sue articolazioni e con l’ausilio del Patronato Inca ha lottato attivamente per l’emersione della verità ed in particolare per la tutela dei lavoratori ex Miteni.
La fotografia attuale non è rincuorante, le criticità sono ancora tutte da risolvere e la chiusura dello stabilimento Miteni non ha comportato, come sperato, un ripristino e una bonifica dell’area contaminata. Ora la preoccupazione più forte riguarda anche il rischio di una replica di questo disastro ambientale in zone vicine (come Bassano) e lontane (come l’India) con una violazione del diritti fondamentali inaccettabile.
GIORDANA RUZZOLINI
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