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PERCHÉ L’ESAME DI STATO ANDREBBE CAMBIATO, ABOLENDO LA PROVA SCRITTA DI ITALIANO

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Ogni anno si ripete il rito degli Esami di Stato: si inizia intorno a maggio con il toto temi della prima prova, quella di Italiano. Ipotesi di titoli, argomenti e autori che talvolta arrivano in prova, ma mai come si era sperato. Poi a giugno si celebra la “notte prima degli esami” e infine arriva il giorno dello scritto di Italiano con tanto di dirette televisive per raccontare la prova e le impressioni dei diretti interessati, i maturandi, ma soprattutto dei tanti esperti che esprimono commenti e giudizi, ma mai che ci si metta nei panni di chi effettivamente deve affrontare la prova, gli studenti appunto.
Quest’anno erano 526.000 suddivisi per ordini di studio diversi. E questo è il primo dato da cui partire, perché lo studente di un tecnico non è lo stesso di un indirizzo professionale. L’allieva del liceo classico ha una preparazione diversa dalla coetanea del tecnico commerciale. Eppure i temi valgono per tutti, ma soprattutto per i commentatori. Tutti i titoli, proposti a suo tempo da esperti – docenti, scrittori, filosofi, giornalisti- e poi sorteggiati, risultavano interessanti, di grande attualità…Ma per chi?
Chi propone i testi conosce la realtà delle classi della scuola superiore italiana? Chi elabora un interessante percorso di approfondimento ha letto i dati che arrivano dalle prove INVALSI? Pare proprio di no!
I nostri ragazzi sono sempre meno abituati a leggere, ad approfondire e quindi a scrivere. Faticano a comprendere quello che leggono, figuriamoci trarre dalla lettura uno spunto di commento che non sia superficiale, o peggio banale. Colpa della società, colpa dei telefonini, dei social… Colpa della scuola che non sa rinnovarsi. Negli anni novanta c’era stata una svolta in merito alla prova di Italiano. Si sono introdotte le diverse tipologie di esecuzione: analisi letteraria, saggio breve, articolo di giornale, traccia di carattere generale. Addirittura il candidato se sceglieva l’articolo di giornale, doveva indicare il tipo di testata per il quale scriveva. Niente di più assurdo, visto che si andava a correggere prove di studenti che spesso non distinguevano tra testata a tiratura nazionale o locale. Per fortuna successivamente si è aggiustato il tiro e oggi prevale il testo argomentativo da cui trarre ed elaborare la propria tesi che sarà corretta secondo criteri, si spera oggettivi, contenuti nelle griglie che ogni istituto elabora. Con questi presupposti la correzione di una prova richiederebbe come minimo trenta minuti e un momento di confronto finale tra i commissari che affiancano il docente di Lettere, cui compete la correzione vera e propria. Nella realtà invece non succede quasi mai, perché non c’è tempo e così la valutazione è lasciata al solo momento della lettura in sottocommissione e a quanto la tesi sviluppata colpisce chi ascolta. Penso che se si tornasse a rivedere le prove a distanza di un mese, la valutazione sarebbe diversa, così come sarebbe diversa se a farla fossero altri docenti. Di fronte a questo quadro, considerato che le tracce sembrano confezionate pensando ai liceali e molto poco ai ragazzi che si preparano per diventare manutentori elettrici o meccanici, addetti contabili, addetti ai servizi sociosanitari, perché non prevedere l’abolizione di questa prova, che si caratterizza per un bell’esercizio di retorica che i nostri studenti non sono in grado di affrontare?
Si dirà: “Ma devono dimostrare di saper scrivere…”.
Ma per questo basta la seconda prova, diversa per ogni indirizzo, che da sempre richiede un’analisi scritta del problema affrontato, descrizione dei procedimenti e una conclusione commentata. E poi il lavoro di approfondimento di ciascuno non verifica la competenza della scrittura intesa come elaborazione coerente, coesa e corretta di uno spunto di studio?
Una siffatta modalità richiederebbe una ulteriore riforma dell’Esame di Stato che darebbe più spazio alle materie di indirizzo, quelle che poi contano in ambito professionale ed universitario. La competenza dell’uso della lingua italiana sarebbe valutata da tutta la commissione che seguirebbe la correzione degli elaborati tecnici, corretti comunque anche dal docente di Italiano che così scoprirebbe come quegli studenti che approfondiscono poco la storia e la letteratura siano in realtà geniali nel progettare un macchinario, nell’elaborare un sistema di sicurezza, nel predisporre un business plan.
Trattasi di considerazioni estive che vanno a scontrarsi con un mondo, quello della scuola a partire dai Ministri di turno, dove ancora si discute se è meglio il vecchio diario cartaceo o quello elettronico, che considera il telefonino il male assoluto e non si mette in discussione su quello che dovrebbe essere il suo compito di educatore.
E con questo auguro buone vacanze a tutti: studenti, docenti, genitori e lettori di questa rubrica che tornerà a settembre.

Rosanna Frizzo

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