L’autunno 2025 dei vicentini potrebbe essere una stagione complicata. Più d’uno, infatti, sono i fattori che hanno il potenziale di influire sulla vita dei cittadini, alterando la quieta vita di provincia che, checchè se ne dica, impronta da decenni Vicenza. Per arrivare a questo status si è pagato un prezzo alto, accettando la subordinazione (vecchio vizio locale già dal Medio Evo) ad altri poli economici e di potere della Regione, privando di originalità e risorse la vita culturale e sociale, limitandosi ad avviare progetti di basso ed effimero profilo.
Guardiamoci attorno: di originale e autoctono a Vicenza ormai è rimasta solo la Madonna di Monte Berico, tutto il resto fa capo altrove e qui è solo succursale: le banche, l’autostrada, la fiera, il gestore dell’energia, l’università, perfino il calcio non sono più in mano alla città, che ha perso anche l’aeroporto. Il problema di fondo di Vicenza è la dimensione (“urbicula” era ai tempi dei Romani e tale è rimasta), a cui va aggiunta la incapacità di fare squadra, che avrebbe potuto essere l’arma per superare il primo limite.
C’è stata, in verità, un’aggregazione ultra cittadina che avrebbe potuto prendere in mano Vicenza trainandola stabilmente verso un ruolo di alto livello nazionale e internazionale: la associazione degli industriali. Forte nella rappresentanza del territorio sia per numero di associati sia per fatturati ed export, si trova oggi isolata e compressa fra le consorelle ad est e ad ovest, proprio come la città. Il suo peso e la sua influenza all’interno della comunità sono ancora forti, non solo nello specifico della produzione e del lavoro: basti pensare, ad esempio, all’editoria (Assindustria è proprietaria dei media più diffusi della provincia), alla politica (i candidati sindaci – e non solo – devono essere graditi da Palazzo Bonin Longare), alle infrastrutture (vedi TAV).
Questo ruolo egemone è gestito da Confindustria con un profilo basso, senza prese di posizione eclatanti (se non, ovviamente, sui temi di competenza) ma con la moral suasion, con la autorevolezza, con gli indirizzi dati a chi gestisce la vita cittadina. Una sola (ma grossa) materia è sfuggita a Confindustria: le banche. Non tanto Cariverona e la Cattolica, quanto la Popolare, nel cui Cda c’erano fior di industriali. E sappiamo bene com’è finita.
Quella attuale è una Vicenza autoreferenziale, che fa fatica o rinuncia a confrontarsi con altre realtà, perfino con quelle distanti poche decine di chilometri, che s’accontenta di livelli sempre più bassi di vita, che si è specializzata nel lamentarsi di tutto, che poco o nulla propone e subisce mugugnando, che dà la colpa di tutto al Comune perfino quand’è evidente che non c’entra e non può fare.
In questo contesto l’autunno che verrà potrebbe cambiare il clima di sonnacchioso tran tran. A cominciare dalla TAV, i cui prodromi cittadini hanno già provocato tensioni sociali e disordini. Dopo l’estate si comincerà a fare sul serio: apertura di cantieri, abbattimenti di edifici espropriati, modifiche alla viabilità, inquinamento ambientale, traffico di mezzi di servizio. Se è bastata mezza giornata di disordini nel Bosco di Ca’ Alte per provocare l’ira dei cittadini in transito per via Vaccari, figuriamoci cosa succederà quando davvero la viabilità sarà sconvolta.
Potrebbero poi esserci anche problemi con l’ordine pubblico. I No TAV sono da poco tornati a inscenare azioni violente di contestazione in Val di Susa, non è così impensabile che gli stessi oppositori presto le proseguano a Vicenza. I focolai ci sono già: i boschi urbani, il Bocciodromo.
Un altro versante di preoccupazione per l’autunno è la sicurezza, un tema che a Vicenza è vissuto in misura asfissiante a causa della esasperazione che gli danno l’opposizione in Consiglio comunale e i partiti che ne fanno parte, che è gestito forse con troppa pacatezza di toni dalla amministrazione e che i rappresentanti dello Stato faticano obbiettivamente a controllare.
È senz’altro vero che il problema sicurezza c’è (anche se i numeri dicono che Vicenza è sotto la media nazionale per i reati connessi) e che il problema si sta diffondendo al di fuori delle “zone rosse” storiche e anche nei comuni confinanti. Per ora, la narrazione di una città sotto assedio sembra forzata e sovradimensionata, ma quale evoluzione potrebbe avere da settembre? Le misura finora prese sono dei palliativi che non possono eliminare le cause alla radice, non sono previste riforme decisive (come potrebbe essere il passaggio in prima fascia della Questura) e il malcontento sociale con ogni probabilità è destinato a crescere, anche perchè la sicurezza sarà un argomento centrale durante la campagna elettorale per le Regionali.
E, in autunno, potrebbero cominciare ad avvertirsi i primi contraccolpi sull’economia locale della guerra dei dazi fra Unione Europea (e quindi Italia) e Stati Uniti.
GIANNI POGGI