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IMMIGRAZIONE A MONTECCHIO MAGGIORE: LA SITUAZIONE

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“Comunità Accogliente? Prove di futuro” è il titolo dato al convegno tenutosi nella Sala Civica di Alte, giovedì 17 ottobre scorso. La serata, organizzata dalla Cooperativa Piano infinito, dalla associazione Migrantes della Diocesi di Vicenza e dalla Lista Civica Insieme per Montecchio non poteva arrivare in un momento più azzeccato.
Mentre a Bruxelles si discute di flussi migratori, giusti, sbagliati, di modelli Albania, Ruanda, a dimostrazione che l’arrivo di stranieri sul “suolo patrio” è di fatto un problema, più elettorale che altro, nella sala civica di Alte Ceccato, si parla della realtà.
L’analisi è affidata a Leonardo Barban, giovane ricercatore che ha studiato, e continua a farlo, l’arrivo di migranti irregolari, accolti nei centri appositamente organizzati (CAS), in attesa di definire il loro destino. Non rientrando nei numeri dei flussi regolari, non sapendo se potranno avere un permesso di soggiorno e quindi poter trovare lavoro e alloggio, attendono in luoghi non sempre adeguati. Potrebbero intanto imparare la lingua, studiare, cimentarsi in qualche lavoro. Ma si sa che queste soluzioni, vedi il centro di accoglienza di Cona in provincia di Padova, diventano in realtà luoghi pericolosi di costrizione. Da lì si preferisce scappare ed entrare nella clandestinità.
E poi c’è la strada dell’accoglienza diffusa, che si è realizzata e tuttora si alimenta nei comuni dell’Alto Vicentino, dove l’intera comunità si mette in gioco, accoglie e integra. Ma per fare questo ci vuole la volontà di farlo e bisogna essere un po’ strabici, come dice l’assessore di Santorso Francesca Doppio, saper guardare dall’alto, nel complesso, ma anche di lato, dalla parte di chi deve essere accolto. Un approccio etico prima che pratico, sottolinea Luciano Carpo dell’Ufficio Migrantes, che sta dando risultati concreti da conoscere e da condividere.
Conoscere è l’esigenza e così si fa il punto della situazione ad Alte Ceccato, un vero laboratorio per chi analizza i flussi migratori.
Francesco Della Puppa, docente universitario a Venezia, ha studiato la migrazione bengalese nella cittadella economica voluta da Pietro Ceccato, che fin dalle sue origini, negli anni cinquanta, ha convissuto con fenomeni migratori ed è cresciuta grazie a flussi di lavoratori, prima dalle campagne limitrofe, poi dal sud d’Italia, quindi dall’est d’Europa, dal Nord d’Africa e quindi dal Bangladesh.
La sua relazione offre interessanti elementi di analisi, soprattutto apre gli occhi su realtà che spesso si giudicano in modo superficiale, perché chi arriva da così lontano è un extra comunitario e basta. Invece sono persone in cerca di un futuro migliore che hanno un progetto di vita e i mezzi per realizzarlo, denaro e un percorso di studio di alto livello, ma pur di migliorarsi accettano di fare lavori pesanti ed estenuanti, quelli che gli Italiani non vogliono. Sono le stesse persone che hanno fatto arrivare le loro mogli e oggi costituiscono una comunità numerosa, la più numerosa.
Ma la migrazione bengalese è cambiata. Oggi si arriva in Italia con i barconi, o dalla via balcanica: non più persone che appartengono al ceto medio alto, ma persone che fuggono dalla povertà.
Per tutti quelli che arrivano in Italia c’è il problema della lingua che Nereo Turati affronta, purtroppo nel poco tempo che resta della serata. Il tema è cruciale perché l’alfabetizzazione di queste persone è il primo grande scoglio da affrontare. Imparare a parlare una nuova lingua, a scriverla, ma soprattutto a leggerla è il primo passo per un’integrazione vera. E per insegnarla ci vuole un metodo, quello che lui applica da oltre venti anni e sul quale sarebbe interessante confrontarsi in un nuovo incontro, magari un po’ più partecipato, visto che mancavano proprio i diretti interessati, gli immigrati.

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