
CALCIO MONTECCHIO. ROMANO ALEARDI: A INIZIO CAMPIONATO I MIEI PROGETTI ERANO ALTRI
“Come vivo questo momento? Come un pugno sul naso. La scorsa estate quando ho ripreso in mano le sorti del Montecchio, a causa dei tanti
Oggi in tutta Italia si ricordano i morti italiani nella regione del Carso, a cavallo tra Friuli-Venezia Giulia, Slovenia e Croazia, uccisi da sostenitori del maresciallo Tito, mentre la seconda guerra si concludeva e si poneva impellente il problema dei confini orientali. Non si trattava più di semplici linee di demarcazione che fino ad allora erano state facilmente superate, ma di una vera e propria separazione di parte. Occidente e Oriente, socialismo, da una parte, quello di Tito e democrazie liberali dall’altra.
In mezzo italiani, croati, sloveni, che da secoli condividevano terre di confine e che proprio per questo hanno pagato a caro prezzo l’evolversi della storia.
Subito dopo la Prima Guerra Mondiale, anche a seguito dell’impresa di D’Annunzio che conquistò la città di Fiume che, a suo parere, non poteva non essere italiana, nonostante i trattati di pace l’avessero assegnata alla Croazia, il fascismo controllò attivamente il confine orientale al punto di operare nei confronti della popolazione slava sotto il dominio italiano un vero e proprio processo di italianizzazione. Chi si opponeva veniva rinchiuso in campi di prigionia fascisti, numerosi in zona. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’ Italia, al fianco dei nazisti, fino all’ 8 settembre del ’43, perpetrò pesanti azioni di repressione contro le quali agiva il movimento di liberazione della Jugoslavia, capeggiato da Tito.
Una situazione esplosiva che si macchiò del triste rito dell’infoibazione nei confronti di chi rappresentava la dominazione fascista in quelle aree.
Ogni guerra porta con sé simboli macabri di violenza e morte. Le trincee della Prima Guerra Mondiale, i campi di concentramento, i camini di Auschwitz, le foibe, appunto.
Dentro le buche profonde dell’area carsica intorno a Trieste, e non solo, sono finite migliaia di persone scomparse da casa, prelevate dai titini, sommariamente giudicate e condannate, perché italiane, perché rappresentavano il fascismo o una dimensione sociale contraria alla idea di collettività. Finirono infatti nel mirino chi governava le città, banchieri, intellettuali, professionisti, la borghesia agiata.
Che restava da fare per gli italiani in quell’area, in attesa che il mondo decidesse quali dovessero essere i confini?
Andarsene, cercare rifugio in quella che era stata la loro terra di origine, l’Italia.
L’Esodo giuliano-dalmata appunto, quello che ricordiamo e che segnò profondamente la vita dell’Italia di allora. Uscita dalle macerie della guerra, la giovane repubblica si trova a gestire anche l’arrivo di questi Italiani senza casa, senza lavoro, senza nulla. Non fu un periodo facile. Anche gli Italiani stavano pagando le miserie della guerra e guardavano spesso con ostilità i nuovi venuti, per lo più segregati in campi profughi.
Oggi quindi ricordiamo la sofferenza di queste genti, il loro drammatico peregrinare in una terra che doveva essere la loro patria, ma li relegava a vivere ai margini.
Ebbene, se ricordare fa bene al presente, oggi pensando a chi ha lasciato la propria bella casa e senza niente è arrivato in nave o a piedi in Italia e per lungo tempo ha vissuto in edifici abbandonati, in aree dismesse, in totale promiscuità, senza le pur minime condizioni di igiene, si pensi anche a chi arriva in Italia da paesi in guerra, perseguitati da regimi illiberali e chiede rifugio. Possiamo evitare il ripetersi della storia? I governi italiani che hanno affrontato la questione dalmata-giuliana, pur tra mille problemi, ci riuscirono e l’Unione Europea ha cancellato definitivamente i confini all’origine della questione. Sembra invece più difficile accogliere chi arriva da più lontano.
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