Direttore della Galleria Civica di arte contemporanea di Montecchio Maggiore, Giuliano Menato è voce critica della città. Lui stesso con orgoglio si definisce tale: “Il mio essere critico nasce da quello che vedo, sento e analizzo. D’altra parte la critica è una componente del pensiero. La mia abitudine all’analisi dell’opera d’arte mi porta ad essere chiaro e sincero in ogni occasione e così divento spesso dissonante, ma questo dovrebbe essere sempre sia che si tratti di dibattito culturale che politico”.
Il professore, ormai da vent’anni in pensione, ex docente di Italiano e Latino al Liceo Gian Giorgio Trissino di Valdagno, è sempre vissuto a Montecchio, in quella che inizialmente era la casa dei genitori, proprio ai piedi del colle della Bella Guardia. ”Ho girato il mondo, sono stato nelle grandi capitali, nelle città famose, ma sono sempre tornato a casa. Da 84 anni vivo qui, qui ho iniziato a lavorare, quando ancora studiavo, grazie alla scuola del CAPI. Insegnavo Cultura Generale e Matematica. D’altra parte la mia famiglia faceva molta fatica a farmi studiare, ma io ero un appassionato. Avevo scoperto la Storia dell’Arte grazie a due docenti del liceo classico Pigafetta, il prof. Renato Cevese e il prof. Franco Barbieri, che mi orientarono verso il Dipartimento di Storia dell’Arte di Padova. Anche se potevo frequentare poco, riuscii a farmi apprezzare ed indirizzare. Per me studiare allora significava conoscere, cioè vedere con i miei occhi e così approfittavo di tutti i viaggi di Istruzione che l’università organizzava. Visitai i musei più noti, le gallerie d’arte più importanti così da essere pronto per una tesi che mi aprì le porte di quella che poi sarebbe diventata la mia carriera”.
La tesi su Louis Dorigny, pittore alla corte di Re Sole, ma italiano di adozione che lasciò importanti segni dì sé a Venezia, a Verona ma anche a Vicenza (i suoi affreschi abbelliscono la villa Palladiana più famosa al mondo, La Rotonda, e i saloni di Palazzo Montanari), lo fece conoscere.
Avrebbe così potuto continuare a studiare in università e seguire una carriera accademica di sicuro successo, ma non poteva permetterselo. Allora, come oggi, il ricercatore universitario non aveva certezze economiche. Così scelse la strada dell’insegnamento.
Per quarant’anni a contatto con studenti e colleghi docenti in quel di Valdagno. E proprio all’istituto Marzotto conobbe l’artista per il quale curò la prima mostra nel 1964. Era un docente di composizione tessile, Vittorio Matino, diventato poi molto conosciuto e apprezzato come astrattista. Da lì il lungo cammino di conoscenza, di studio e la passione per il contemporaneo, con importanti contributi nella rivista Arte Veneta e in Biennale a Venezia, la massima espressione del contemporaneo in tutte le sue forme.
“Iniziai ad insegnare alla scuola superiore come docente di storia dell’arte, ma questo non mi permetteva di instaurare un vero rapporto educativo con i ragazzi. Un insegnamento di una sola ora settimanale non permette certo di essere incisivo sulla crescita di uno studente, così affrontai subito il concorso che mi fece vincere la cattedra di Italiano e Latino. Seguivo l’arte, la mia passione, facevo crescere ragazzi e nello stesso tempo mi impegnavo anche politicamente. Appartenevo alla corrente socialista di Nenni, e come tale, sono entrato in Consiglio Comunale a Montecchio. Per vent’anni ne ho fatto parte, sempre all’opposizione, sempre voce critica, che comunque non ha mai smesso di argomentare e precisare le sue scelte e per questo sempre riconosciuto e apprezzato da chi sedeva in quel consiglio a maggioranza democristiana”.
Rispetto alla sua carriera di docente e di critico d’arte, il professore riconosce, nella sua vita, di essersi trovato in una serie di fortunate circostanze che ha sfruttato al meglio.
“Grazie all’incontro con Antonio Scalabrin, allora direttore del CAPI di Montecchio, ho potuto garantirmi gli studi universitari. All’università ho incontrato docenti che hanno creduto in me, ma soprattutto ho avuto la possibilità di arricchire la mia passione con la conoscenza diretta delle opere. Ero affamato di conoscenza e questo mi ha portato ben presto dalla storia dell’arte alla scoperta dell’arte contemporanea, quella viva, di cui so diventato esperto e critico. Gli artisti venivano a cercarmi, ma il più delle volte sono stato io che li ho seguiti nel loro percorso, offrendo quindi anche opportunità per farsi conoscere”.
In questo senso attualmente sta lavorando per la Galleria Civica di Montecchio di cui è direttore. Pittori e scultori hanno potuto esporre le loro opere su sua segnalazione che, ad inizio di ogni anno, propone alla Commissione Cultura un suo programma. “Abbiamo ospitato nomi importanti che hanno richiamato visitatori da fuori Montecchio. Purtroppo la risposta montecchiana non è stata altrettanto sollecita”.
E così si apre il capitolo del suo rapporto con Montecchio: ”Sono profondamente legato alla mia terra, a questa realtà che vorrebbe essere chiamata città, ma rimane un paesotto, cresciuto economicamente, poco culturalmente. Ecco perché il mio rapporto con Montecchio è di odio e di amore. Sono sempre stato critico, ma a ragion veduta, perché l’immobilismo che la caratterizza è evidente”.
Di Montecchio ama comunque la bellezza della sua natura, specie nella zona collinare, Villa Cordellina e i Castelli, che non sono valorizzati. “Prevale una cultura folcloristica, che si richiama ai principi dell’evasione e del passatempo e invece si dovrebbe valorizzare il connubio perfetto tra natura ed arte che il contesto castellano offre”.
Valorizzare dunque ciò che di prezioso si trova a Montecchio. Ed è quello che suggerisce a chi oggi si candida a diventare sindaco: “Fondamentale conciliare ciò che viene indicato come bello e gratificante impegnandosi a vincere l’inquinamento e il traffico, frutto di una viabilità caotica o sfrenata: ”Non bastano i cartelli stradali per risolvere il problema di chi sfreccia a tutta velocità lungo le nostre strade. Ci vogliono i controlli, i vigili che facciano rispettare le regole”.
Avvicinare la città all’arte è un altro aspetto su cui il professore richiama l’attenzione di chi vorrebbe governare per i prossimi cinque anni: “Creare occasioni vere per far conoscere il gioiello che è Villa Cordellina a tutti gli abitanti, sfruttare ciò che abbiamo come il museo Zannato che offre ottimi spunti di conoscenza, come pure il Museo delle Forze Armate, ma devono essere conosciuti e sentiti dalla gente come propri. Devono essere frequentati anche da chi oggi fa i programmi elettorali. Importante anche rivitalizzare la Biblioteca Civica, mai veramente incisiva nel rapporto con la città”.
Lui che ha due figli che vivono lontano da Montecchio, pensa che non sia giusto che le menti migliori lascino la città, ma la fuga di cervelli non può essere risolta a livello locale. Il problema va affrontato a livello nazionale: ”I giovani non possono studiare anni e anni e poi non avere un lavoro riconosciuto e adeguato al percorso accademico effettuato. E’ necessario un cambiamento, quasi una rivoluzione, altrimenti se ne andranno proprio le eccellenze!”
E per questo bisogna riportare la gente a votare, soprattutto i giovani. Secondo il professore la fuga dal voto è legata a quello che i giovani vedono, al fatto che non trovano candidati capaci di suscitare la loro fiducia. ”Manca poi completamente la formazione politica orientata dall’idealità, da valori alti. E la scuola, dal canto suo, ha rinunciato al ruolo che le è proprio di formare la coscienza dell’individuo che diventa poi coscienza civica da cui deriva la coscienza politica. Si aggiunga la crisi dei partiti che hanno spesso abdicato ai loro valori fondanti in nome del potere e si spiega il perché i giovani rinunciano all’impegno politico”.
Abituare i giovani al bello potrebbe aiutare ed è quello che fa il nostro attraverso il suo impegno nella Galleria Civica e nel suo intervenire per rimarcare quello che non va o dovrebbe essere migliorato nella speranza che Montecchio diventi veramente città.
Intanto il suo consiglio a chi si avvicina ad un’opera d’arte è di osservare attentamente, domandarsi che cosa piace e perché piace, lasciarsi andare alle emozioni, ma poi riflettere sull’autore, conoscerne la storia e il contesto in cui ha vissuto o opera. Chissà che prossimamente, grazie al professore, non si arrivi a far conoscere l’arte anche ai Montecchiani più giovani!
Rosanna Frizzo