LETTERA AL DIRETTORE
Viviamo in un tempo in cui la parola è sotto assedio. Non da censure evidenti, ma da qualcosa di più subdolo: l’accusa preventiva. E tra queste, ce n’è una che pesa come una condanna: antisemita. Usata – o meglio, abusata – non per combattere il razzismo, ma per zittire ogni voce che osi mettere in discussione le scelte, i crimini e l’arroganza del governo israeliano.
È successo ancora. Rula Jebreal, giornalista di livello internazionale, cittadina israeliana, ha osato dire la verità su Gaza in uno studio televisivo italiano. Ha smascherato menzogne, retoriche e disinformazione. E subito è scattato il solito meccanismo: invece di rispondere nel merito, l’avversario – in questo caso Italo Bocchino – si aggrappa all’insulto e al vittimismo ideologico, ben consapevole che oggi basta evocare lo spettro dell’antisemitismo per mettere a tacere il dissenso.
Ma la realtà è semplice: criticare Netanyahu, il suo esecutivo e la brutale occupazione dei territori palestinesi non è antisemitismo, è dovere civile. Denunciare i bombardamenti su Gaza non significa odiare gli ebrei, ma amare la giustizia. Pretendere verità e umanità non è negazionismo, è resistenza alla barbarie.
Confondere deliberatamente la critica politica con l’odio razziale è un atto vile. È una strategia da manuale della propaganda: chiama “sicurezza” l’assedio, chiama “difesa” la strage, chiama “antisemita” chi osa alzare la voce. Ma la verità buca lo schermo, come ha fatto Rula. E chi ha ancora un briciolo di onestà intellettuale non può non riconoscere che in certi studi televisivi si fa disinformazione, non informazione.
In tutto questo, il problema non è solo chi calunnia, ma anche chi tace. Chi si rifugia nell’ambiguità. Chi ha paura di esporsi, di schierarsi. Ma se la parola è libertà, allora oggi più che mai serve il coraggio di dire le cose come stanno. Di chiamare col proprio nome l’apartheid, la violenza, la propaganda. Di difendere non “una parte”, ma i diritti umani.
Perché il silenzio è complice.
E la verità, anche se dà fastidio, resta la verità.
Emanuele Rivellino